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Chip, la Cina cerca la sovranità tecnologica nonostante i controlli sull’export Usa

Pechino punta a creare un ecosistema autonomo rispetto alla dipendenza dalle tecnologie occidentali. Focus su macchinari litografici e chip di memoria dopo il nuovo round di controlli sulle esportazioni varato dagli Stati Uniti lo scorso 17 ottobre. Ma non sarà semplice. Intanto Xi Jinping prepara le contromosse…

Le restrizioni e i controlli sulle esportazioni varati dal Dipartimento del Commercio per colmare le lacune delle precedenti misure avranno severe conseguenze per lo sviluppo dell’industria dei chip in Cina, per lo meno nel breve termine, ma soprattutto hanno inaugurato un ulteriore salto di qualità nella competizione tecno-commerciale tra Washington e Pechino.

Un dato in particolare salta all’occhio e dimostra come la relazione bilaterale influenzi nel complesso, e in negativo, la percezione dei paesi esteri nei confronti della Repubblica Popolare Cinese – che, ricordiamo, sotto la leadership di Xi Jinping ha aumentato il controllo della sfera politica su quella economica.

Il trend evidente è il deflusso degli investimenti esteri diretti (Fdi) come emerge dai dati dell’Amministrazione statale dei cambi in Cina. Parliamo di una contrazione di 11.8 miliardi di dollari, in rosso per la prima volta dal 1998, tre anni prima che il paese orientale facesse il suo ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Rimanendo nel settore dei chip, secondi i dati raccolti da Rhodium Group, la quota della Cina è crollata dal 48% nel 2018 all’1% del 2022, mentre quella degli Stati Uniti è salita al 37%.

È possibile che questa ritrosia, in particolare nel settore dei semiconduttori, sia una diretta conseguenza degli sforzi di “contenimento e deterrenza”, secondo quella che viene definita come la ‘dottrina Sullivan’ per la sicurezza nazionale, dello sviluppo delle capacità cinesi nel settore di chip avanzati che possano avere applicazioni nel settore militare tramite l’utilizzo di sistemi di IA. Una strategia che ha preso forma a partire dal 2019 e che ha trovato la sua sublimazione con l’utilizzo dell’extraterritorialità della giurisdizione statunitense per bloccare il flusso di tecnologia americana.

In questo contesto, è evidente come gli sforzi della Cina di aggirare le restrizioni americane – seppur in parte riusciti, se si considera lo sviluppo del microprocessore di Huawei nel Mate 60 Pro e i passi avanti del produttore SMIC – saranno estremamente più complessi considerando la natura delle nuove norme imposte dal Bureau of Industry and Security (BIS). Sono previste, infatti, due nuove clausole per assegnare le licenze alle esportazioni di dispositivi litografici più maturi (i Duv – Deep Ultraviolet Litography), per la fabbricazione di chip avanzati attraverso una particolare tecnica di produzione (il multi-patterning), e di chip logici che non siano al di sotto della soglia di potenza computazionale assoluta e in relazione alla dimensione dei wafer di silicio su cui sono stampati i processori.

In sostanza, i chip logici di Nvidia come l’H100, l’A100, A800, il Google TPUv4, l’Amd MI250 e il Biren BR100 sono tutti microprocessori che rientrano nei limiti stabiliti dal BIS e, dunque, proibiti per l’export ad entità cinesi o estere che possano concorrere al loro sviluppo in Cina. In particolare, le regole del 17 ottobre prendono di mira chip che possano essere utilizzati nei data center a differenza di circuiti integrati commerciali, validi per l’utilizzo in dispositivi come gli smartphone ma che non hanno una diretta applicazione per scopi militari. In questo senso, le nuove restrizioni dimostrano che gli apparati di sicurezza americani abbiano interpretato il passo in avanti di Huawei non tanto per il prodotto in sé, ma per l’ecosistema di tecnologie abilitanti (dal design alla produzione in fonderia) che ha consentito di utilizzarlo.

Ecco perché nel nuovo pacchetto di restrizioni gran parte dell’attenzione è rivolta su Semiconductor Manufacturing International Corporation (Smic) e in via diretta su ASML. Le nuove regole, infatti, prevedono che qualunque dispositivo con anche una minima componente di tecnologia o software americano sia soggetto alla giurisdizione degli Stati Uniti, soprattutto se potenzialmente abilitante per replicare la litografia ultravioletta. Nei dettagli tecnici del nuovo testo, si fa riferimento alla metrica Dco (dedicated chuck overlay) che misura l’accuratezza con cui le macchine litografiche possono agire sul wafer di silicio durante l’esposizione. Applicando questo criterio, gli Stati Uniti e gli alleati (Olanda e Giappone in primis, ma anche la Germania che fornisce importanti componenti come laser e specchi tramite aziende come Trumpf e Zeiss) dovranno trovare un allineamento nelle rispettive regole sulle esportazioni, ma in sostanza bloccheranno l’export di macchinari due generazioni precedenti alla macchina DUV NXT:2000i, lanciata sul mercato nel 2018 e che rappresentava, prima delle nuove regole americana, la linea rossa.

Dunque, la serie di macchinari Duv Twinscan2000 non potrà essere più venduta in Cina a partire dal 1 gennaio del 2024, secondo quanto previsto anche dalle regole sull’export concordate tra Washington e The Hague. Questi dispositivi sono fondamentali per la produzione di chip avanzati su nodi tra i 7 e i  5 nanometri. Come riportato agli investitori da AMSL, il mercato cinese ha contato per il 46% delle entrate nel terzo quadrimestre di quest’anno. E’ possibile che gli ordinativi fissati nel corso del 2021 e del 2022, per un valore di $37 miliardi di dollari, alcuni dei quali destinati alla Cina potranno essere rivisti in seguito alle nuove regole sull’export.

Secondo gli americani, è possibile che le capacità di Smic di produrre chip avanzati utilizzando dispositivi Duv e la tecnica del multi-patterning potrebbe essere limitata per due motivi. Il primo è di natura tecnologica, dal momento che la definizione e il processo di produzione di chip avanzati varia a seconda che siano chip logici per sistemi di training IA o microprocessori per dispositivi di consumo come gli smartphone. Il secondo è strettamente connesso al primo e riguarda l’economicità di una produzione in scala che possa colmare il deflusso di investimenti esteri e di importazione di chip avanzati (principalmente i prodotti di Nvidia e Amr) per le necessità di Pechino. In breve, guardando alle aziende attualmente più avanzate in Cina: potrà Biren Technology, inserita nella Entity List, sviluppare chip IA grazie alla produzione di SMIC da 7 nanometri (attualmente, il limite tecnologico della Cina sui nodi) o alternativamente contare su JCET, azienda che si occupa dei servizi di packaging avanzato, per superare i limiti imposti sul lato della manifattura con soluzioni innovative lato design e packaging?

La risposta, in un contesto di decoupling forzato, è la volontà e capacità di Pechino e degli apparati statali di sopperire a quello che l’apertura ai mercati, all’integrazione con gli altri ecosistemi dei chip europei ed americani comunque non aveva in ogni caso garantito: una maggiore sovranità tecnologica. E qui entra in gioco la questione della governance delle aziende in questione. Smic, Hua Hong, Ymtc sono foundry a controllo statale. Dunque, fino a quando il governo deciderà di investire soldi anche in perdita, è l’obiettivo finale (superare le sanzioni e dunque perseguire l’indigenizzazione dell’industria dei chip secondo i desiderata del Partito) e non il profitto a stabilire il successo di queste aziende. Nonostante si tratti di un mercato, quello dei semiconduttori, ferocemente competitivo.

Il successo di Smic, il cui azionista di maggioranza è il governo cinese e altri investitori istituzionali, nell’utilizzo complesso e costoso delle macchine DUV per produrre microprocessori avanzati è un esempio. Lo è, inoltre, il chip di memoria 3D Nand sviluppato da Ymtc (Yangtze Memory Technology Co), azienda molto vicina all’Esercito di Popolazione Popolare. Di recente, fondi statali hanno garantito a Changxin Xinqiao Memory Technologies circa $5.4 miliardi a supporto delle attività produttive dell’azienda, con un nuovo round di investimenti attraverso il fondo nazionale sui circuiti integrati. L’azienda punta a competere con colossi mondiali come l’americana Micron Technology (quinta azienda di chip a livello mondiale per volume di vendite) e la coreana Samsung Electronics.

Ci sono comunque dei presupposti che incoraggiano gli sforzi della Cina. Le nuove restrizioni americane, seppur sofisticate e concepite con grande attenzione per non sconvolgere l’industria dei chip (probabilmente anche su pressione delle aziende americane coinvolte sul mercato cinese), erano prevedibili. Secondo quanto affermato dal Presidente di ASML China, il paese ha già importato circa 1.400 macchine litografiche. Lo testimonia il balzo nei numeri raccolti da Rhodium Group per il terzo trimestre del 2023: rispetto allo stesso periodo del 2022, le importazioni di equipaggiamento per la manifattura di semiconduttori (in miliardi) dall’Olanda sono quasi quintuplicate. È evidente come i produttori cinesi si aspettassero a momenti la nuova mossa degli Stati Uniti.

Inoltre, è possibile che queste restrizioni diano nuova linfa per cercare una maggiore autonomia. Lo testimoniano, per esempio, le indiscrezioni raccolte da Reuters secondo cui Baidu, principale motore di ricerca e società informatica in Cina, avrebbe ordinato 1600 910B, chip avanzati (per IA e grafici, o GPU) sviluppati da Huawei già ad agosto, proprio per prepararsi alle nuove restrizioni americane, soppiantando così i dispositivi di Nvidia utilizzati nei suoi 200 server. Seppur si tratta di chip meno avanzati rispetto a quelli prodotti dal colosso americano, secondo le fonti riportate si tratterebbe dell’opzione più sofisticata attualmente reperibile in Cina. E’ possibile che, cavalcando le opportunità che si aprono con il mercato domestico, Huawei (e in seguito altri operatori) potranno rimpiazzare lo share delle aziende americane per un valore intorno ai 7 miliardi di dollari secondo alcune stime.

Restano comunque i costi che le restrizioni Usa imporranno all’ecosistema cinese. Secondo le stime di Bernstein Research, senza l’accesso a chip avanzati sarà del 50% più costoso per le società cinesi il training dei sistemi IA, più del doppio rispetto a quanto avrebbero potuto ottenere. Questo per via del necessario utilizzo di semiconduttori meno avanzati, disponibili in Cina come nel caso precedente, in un numero maggiore e con evidenti perdite di efficienza energetica. Un aspetto che rimane fondamentale per raggiungere maggiore capacità computazionale a prezzi accessibili con l’aumentare della domanda. Vi sarà poi l’impossibilità di aziende come Biren e Moore Threads, startup cinesi dell’IA, di collaborare con aziende leader nella manifattura di questi chip come TSMC, Samsung, Global Foundries o Intel. Tutto, dunque, ricadrà sui campioni nazionali come Huawei, SMIC, YMTC che si ritroveranno ad operare in un contesto sempre più ostile e complesso.

È possibile che, di fronte a questo nuovo colpo ai piani di sviluppo tecnologici della Cina nel settore dei semiconduttori e, dunque, dell’intelligenza artificiale, Pechino possa colpire laddove i sistemi industriali occidentali sono più vulnerabili ed esposti ad una dipendenza pronunciata dal Dragone. Lo abbiamo già visto con i materiali critici come gallio, germanio e grafite. Inoltre, non è da escludere che Cina possa, prima o poi, esercitare il suo leverage di mercato rispetto a semiconduttori meno avanzati, ma comunque centrali per tutta una serie di applicazioni che spaziano dall’automotive alla robotica, passando per la difesa e altre applicazioni di largo consumo.

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