Il governo australiano ha pubblicato la lista dei minerali al centro della sua strategia industriale a supporto della transizione energetica e di altri settori sensibili, come la difesa. Il continente è al centro dell’attenzione di Usa e alleati per le sue ricchezze geologiche
La transizione energetica e i processi di digitalizzazione metteranno sempre più pressione sui mercati delle materie prime. In termini di volumi, soprattutto la prima avrà l’effetto di riscrivere i rapporti di forza internazionali con l’emergere di nuove potenze minerarie, soprattutto nell’ottica di diversificare le forniture dalla Repubblica Popolare Cinese.
Tra i Paesi che più si collocano in questo scenario troviamo l’Australia, Paese tradizionalmente votata all’export di commodity come ferro e carbone (circa due terzi delle entrate sulle esportazioni di materie prime nel 2022), che vanta un’industria mineraria secolare ma che ora vuole posizionarsi come principale trader hub per quanto concerne i minerali critici essenziali per la decarbonizzazione, e non solo.
Nel giugno del 2023, il governo australiano ha pubblicato una nuova strategia nazionale che definisce un piano per realizzare la sua visione per il 2030, ovvero far crescere l’impronta geostrategica ed economica del settore minerario australiano, diventando così un produttore di rilevanza mondiale di minerali critici sia per la fase estrattiva sia per quella di raffinazione, in un contesto geopolitico che vede crescere la tensione nella regione indo-pacifica e di conseguenza la necessità di coordinamento con gli alleati attraverso la Mineral security partnership.
In seguito a questa strategia, il governo si è fatto carico di uno studio, commissionato al Dipartimento per l’Industria, le Risorse e la Scienza con il supporto scientifico di Geoscience Australia, per la definizione e classificazione dei minerali considerati come “critici” a partire da una lista di materiali metallici e non metallici essenziali per le tecnologie low carbon e non solo. Sono infatti stati presi in considerazione i minerali che sono alla base delle seguenti catene di approvvigionamento: 1) industrie e tecnologie cruciali per la transizione energetica globale; 2) la sicurezza energetica nazionale e regionale; 3) la difesa e la sicurezza economica.
Il governo australiano ha così stilato due elenchi di minerali considerati essenziali in questa direzione. Si tratta di un elenco di minerali “critici” e un secondo elenco, di materiali ritenuti “strategici”, con un impegno a rivedere la classificazione ogni 3 anni, al fine di aggiornarli in risposta ai cambiamenti strategici, tecnologici, economici e politici globali. La prima lista rappresenta una classificazione ormai diffusa anche in altri paesi (come negli Stati Uniti e nell’Unione Europea) che riconosce il ruolo vitale di alcuni materiali nella transizione globale verso il net zero (come litio, cobalto, nichel, terre rare e rame), le loro applicazioni strategiche più ampie e la domanda di questi minerali da parte di altri Paesi. La seconda lista, invece, costituisce una novità rispetto alla classificazione precedente: consiste di minerali ritenuti essenziali per le tecnologie green-tech e per un’ampia classe di prodotti, ma che non presentano allo stato attuale rischi lungo la supply chain.
Ciò nonostante il governo australiano li ha inseriti in una watchlist: si tratta di alluminio, rame, nichel, fosforo, stagno e zinco. Secondo quanto argomentato dal governo, queste materie prime presentano industrie consolidate, volumi di mercato considerevoli e una conseguente maggior trasparenza sui prezzi oltre a filiere più stabili. Nel caso della bauxite (il minerale da cui si ricava l’alluminio), l’Australia è la principale produttrice a livello mondiale (con il 27% dello share) nel 2022, all’ottavo posto per il rame (4%) e lo stagno (3%), quinto per il nichel (5%) e al terzo posto per lo zinco (10%), mentre non vanta produzioni significative per il fosforo. Entrambi gli elenchi saranno comunque utilizzati come riferimento per assegnare un sostegno pubblico adeguato a queste risorse.
La lista aggiornata dei minerali critici e la nuova lista dei materiali strategici sono state entrambe stilate utilizzando una metodologia sviluppata dall’Ufficio competente del Dipartimento. La metodologia è in linea con la Strategia dei minerali critici 2023-2030 e si concentra sulle tecnologie prioritarie nella Strategia per i minerali critici, il potenziale geologico dell’Australia in termini di risorse (tra i più ricchi al mondo) le esigenze dei partner internazionali strategici (ovvero Stati Uniti e Gran Bretagna, che insieme formano l’Aukus) e infine la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento. Tra le tecnologie indicate, sono incluse le batterie e componenti per batterie al litio, i magneti permanenti di terre rare, i catalizzatori per la produzione di idrogeno, i materiali semiconduttori per microchip e solare fotovoltaico, le tecnologie per la difesa e le leghe e metalli ad alte prestazioni.
Per sviluppare questa metodologia, sono state effettuate analisi tecniche e di mercato attingendo ai dati di Geoscience Australia. Il Critical minerals office si è inoltre ampiamente consultato con l’industria, le associazioni di categoria e i rappresentanti dei governi territoriali e altre parti interessate, da cui sono state raccolte oltre 50 risposte in seguito al lancio di una consultazione pubblica.
L’elenco aggiornato dei minerali critici comprende 30 minerali (o gruppi di minerali), dai 26 del precedente. I cambiamenti più sostanziali rispetto alla lista precedente sono l’aggiunta di arsenico, fluoro, molibdeno, selenio e tellurio (materiali utilizzati dall’industria della difesa) e l’eliminazione dell’elio, con l’obiettivo di favorire la creazione di Hubs nazionali in tutto il Paese. Con l’eccezione di alluminio puro, molibdeno, renio e silicio, la lista australiana è sovrapponibile a quella Usa, mentre differisce da quella Ue per cromo, indio, molibdeno, selenio, tellurio e zirconio.
Lo scorso ottobre il governo nazionale ha annunciato di stanziare ulteriori $1.3 miliardi a supporto del settore minerario e della trasformazione, con un budget previsto di circa $6 miliardi. I fondi verranno gestiti dall’Export Finance Australia, ente che avrà il compito di supportare lo sviluppo di nuovi progetti estrattivi e di raffinazione in allineamento con la Strategia 2023-2030.
Nel complesso, l’Australia dedicherà considerevoli risorse per il rafforzamento del settore minerario. Anche per rame e nichel, due metalli classificati come “strategici” e che saranno sempre più richiesti con l’incedere dell’elettrificazione sia sul lato energetico sia per quanto concerne la mobilità. Sono 36 le miniere operative per il rame, 16 per il nichel in Australia. Circa 40 miliardi verranno stanziati per i minerali strategici, “essenziali per la decarbonizzazione della nostra economia e per la difesa dell’Australia e dei nostri alleati”, ha dichiarato Madeleine King, ministro delle Risorse australiano.
Per i minerali critici, secondo i dati dello Geoscience Australia, il continente custodisce un potenziale geologico elevato per litio, gallio, germanio (due elementi essenziali per i chip e i dispositivi high-tech della difesa), cobalto, manganese, terre rare, silicio, titanio e tungsteno. Si tratta di metalli che sono allo stato attuale considerati tutti come “critici” dal Dipartimento dell’Energia statunitense e dalla Commissione europea. Per la Gran Bretagna, alleato strategico dell’Australia nel consesso Aukus, germanio, manganese e titanio non sono considerati critici.
Una criticità dovuta, sul lato delle forniture, per via della concentrazione della produzione e raffinazione in Cina. Il caso del litio è emblematico: seppur l’Australia rappresenti il principale produttore mondiale di litio da spodumene roccioso, quasi la totalità del suo output viene esportato in Cina per la raffinazione in composti di litio per poter essere utilizzati nella fabbricazione di batterie. A fronte delle oltre 2,7 milioni di tonnellate di carbonato di litio equivalente (Lce) esportato all’estero, per un valore di $12 miliardi di dollari (circa il 3.4% del valore totale dell’export di minerali e concentrati nel 2022), gran parte del valore aggiunto di queste risorse viene realizzato proprio dai produttori cinesi. Ma il segmento è in rapida crescita (+36% rispetto al 2021), con già 7 miniere all’attivo (seppur due con l’influenza di capitali cinesi) e l’obiettivo di Canberra di aumentare la quota di raffinazione in loco. Inoltre, l’Australia è l’unico Paese occidentale che ha, all’attivo, una miniera che estrae e lavora concentrati di terre rare. Proprio per il possesso di risorse, conoscenze nel settore minerario e capitali Canberra è diventato un partner essenziale per poter diversificare le forniture e su cui i grandi gruppi industriali (tra cui i colossi automotive) fanno affidamento. Risorse strategiche su cui il governo ha già dimostrato di monitorare con sempre maggior scrutinio sugli investimenti cinesi a tutela della sicurezza nazionale.
Nei mesi scorsi, l’Australia ha firmato un protocollo d’intesa con gli Usa per rafforzare la cooperazione sulle filiere dei materiali critici, seppur le nuove disposizioni del Dipartimento del Tesoro sull’accesso ai fondi dell’Inflation Reduction Act (Ira) potrebbero limitare l’accesso delle aziende minerarie australiane che hanno tra i loro investitori entità cinesi.
L’Ue rimane, al contempo, in dialogo con Canberra sulla negoziazione di un accordo di libero scambio che potrebbe facilitare le operazioni di de-risking e d’investimento lungo la filiera da parte dei produttori europei, soprattutto considerando l’ambizioso target di diversificazione fissato con il passaggio dell’European critical raw materials act (non più del 65% del consumo Ue da un singolo produttore per ogni materiale critico presente sulla lista europea).