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Materiali critici, ecco gli obiettivi Ue per l’autonomia strategica

Approvato il testo definitivo dell’European critical raw materials act dall’Europarlamento. L’obiettivo: aumentare la quota di produzione, riciclo e raffinazione europea, contando anche sulle forniture da Paesi amici entro il 2030. Sarà raggiungibile?

In una sessione plenaria tenutasi nella giornata di ieri, il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo all’European Critical Raw Materials Act, il provvedimento con cui Bruxelles e i Paesi membri vogliono ottenere una maggiore autonomia per l’approvvigionamento di materie prime critiche e strategiche, secondo la classificazione operata dalla Commissione con l’ultima Lista pubblicata a marzo del 2023.

Al centro dell’accordo – e che ha visto particolarmente forte la spinta di Italia, Francia e Germania –parzialmente rivisto durante le fasi di negoziazione previste nelle istituzioni e sedi europee, incentivi economici per i progetti di estrazione e riciclo delle materie prime critiche e strategiche, puntando a procedure di autorizzazione più rapide e semplificate, per agevolare aziende, start-up e soprattutto Pmi che possano dare un contributo verso gli obiettivi del Crm Act.

Secondo le stime di Eurometaux in uno studio dello scorso anno, l’aumento della domanda per l’Ue a metà secolo sarà esponenziale per litio e cobalto (rispettivamente 3,500% e 330% rispetto ai consumi del 2020), al contempo affiancata da numeri vertiginosi per materie prime più note come alluminio (5 milioni di tonnellate in più); rame (5 milioni di tonnellate); nickel (400.000 tonnellate); zinco (300.000 tonnellate).

Con il passaggio del regolamento, il Parlamento ha ufficializzato uno step cruciale per garantire le forniture e una maggiore sovranità necessarie a perseguire gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione, oltre per rimanere competitivi in un settore come il digitale, l’aerospazio e non ultimo garantire i materiali più sensibili per la difesa. Il regolamento è stato votato con 549 voti favorevoli, 43 contrari e 24 astensioni. Un risultato che certifica la questione come cruciale in maniera trasversale tra le coalizioni europee e i Paesi membri, a prescindere di quale sarà l’esito del voto di giugno con le elezioni europee. Ulteriori ritardi nell’implementare tali misure sarebbero molto gravi per l’autonomia strategica europea.

Litio, cobalto, terre rare, gallio, germanio, rame, alluminio (inserito nell’ultimo draft), silicio metallico, grafite e nichel sono alcuni delle 34 materie prime critiche (caratterizzate da elevata importanza economica e rischi di approvvigionamento) e 17 di quelle considerate strategiche (la cui domanda sarà in forte crescita da più settori economici e industriali). Per gli stakeholder che lavorano nel settore (dall’industria all’accademia, passando per i think tank), l’inclusione di questa nuova categoria rappresenta una novità che in parte politicizza l’analisi della ‘criticità’ delle materie prime, costruita su una metodologia scientifica rigorosa ma che spesso non rifletteva – al pari di quanto delineato, per esempio, dai requisiti anti-Cina dell’Inflation Reduction Act (Ira) – una visione geopolitica, nonostante gli auspici della Commissione von der Leyen all’inizio del suo mandato.

Ma è chiaro che nei prossimi anni e decenni l’accesso alle materie prime critiche e strategiche diventerà sempre di più una questione politica, dal momento che da esse dipenderà la competitività di interi settori industriali. Proprio per questo, il Consiglio dell’Unione europea ha proposto, nelle fasi conclusive, di innalzare i parametri di riferimento, suggerendo l’aumento della quota di raffinazione e riciclaggio per i materiali consumati nell’Ue rispettivamente dal 40 al 50% e dal 15 al 20% e dal 15 al 20% entro il 2030. Si tratta di obiettivi (delineati all’Art. 1) non vincolanti, ma che rappresentano dei chiari suggerimenti agli Stati Membri per rafforzare il posizionamento dell’Ue in un contesto geopolitico incerto.

Nel primo caso, le industrie europee scontano un ritardo evidente nella trasformazione delle materie prime in materiali precursori e metalli per poter essere utilizzati per la fabbricazione di batterie, magneti o semiconduttori. Si tratta di uno step della supply chain che aumenta i margini di profitto, ma spesso caratterizzato da elevati consumi energetici e da più stringenti normative ambientali. Per quanto riguarda la quota di consumo interno dalle attività minerarie continentali, rimane al 10% l’obiettivo di estrarre le materie prime critiche dal momento che, nonostante alcuni progetti in rampa di lancio, entro il 2030 sarebbe stato pressoché utopico concepire un target più ambizioso.

Un’altra componente fondamentale del regolamento è l’introduzione dei “progetti strategici”, che dovranno contribuire in maniera significativa all’approvvigionamento di materie prime strategiche dell’Ue (art. 5-7). Il regolamento mira a sostenere questi progetti garantendo che gli Stati membri forniscano un unico punto di contatto per il processo autorizzativo e une tempestività di massimo 24 mesi per l’estrazione e 12 mesi per la raffinazione e il riciclo (artt. 9-10). Dovranno inoltre allinearsi agli standard di sostenibilità conformemente alle normative europee, seppur è prevista una riduzione del periodo di consultazione pubblica per quanto concerne la valutazione d’impatto ambientale, trattandosi di provetti di “rilevante interesse pubblico” (art. 7).

I progetti strategici saranno, inoltre, supportati da finanziamenti coordinati tramite diversi meccanismi (tra cui gli off-take), come previsto dagli artt. 15-17, mentre sarà compito dei Paesi membri provvedere al de-risking finanziario dei progetti in fase di esplorazione, agevolando così il processo di lancio sul mercato (art. 18). Monitorare e mitigare i rischi lungo le supply chain interessate, attraverso l’esecuzione di stress test e la rendicontazione di eventuali scorte strategiche, sarà inoltre un compito in capo agli Stati nazionali ma anche per le grandi aziende coinvolte nei rispettivi ambiti di applicazione. Gli artt. 25-30 guardano, invece, alle soluzioni circolari a diversi livelli, mentre l’art. 33 incoraggia la conclusione di partenariati strategici con i Paesi ricchi di risorse per il raggiungimento del target di riferimento (massimo il 65% del consumo interno entro il 2030 da un singolo paese) e in coordinamento con Paesi alleati.

Secondo le stime di Eurometaux, associazione di categoria europea, ci sono più di 50 progetti potenziali in Europa che potranno contribuire a raggiungere questi obiettivi. Tuttavia, servirà adottare una serie di misure ancillari ma chiave per garantire investimenti e competitività: un canale di finanziamenti comune, attingendo dai fondi europei (come annunciato la scorsa settimana con 3 miliardi dell’Innovation Fund per la filiera delle batterie elettriche), accesso a buon mercato all’elettricità (considerando che si tratta di industrie energivore) e coerenza dei regolamenti Ue sul commercio internazionale (in particolare, il Carbon Border Adjustment Mechanism) e sulla tutela ambientale.

Il grande dubbio rimane, infatti, l’implementazione pratica del regolamento se l’obiettivo è stimolare gli investimenti nelle filiere delle materie prime critiche: un aspetto che, se confrontato con le misure fiscali previste dall’Ira statunitense come incentivo alla regionalizzazione e al de-risking dalla Cina, segnala come il regolamento preveda ulteriori costi (sottoforma di compliance) per le imprese su diversi ambiti (monitoraggio, circolarità e standard ambientali) senza tuttavia fornire adeguate garanzie sul lato dei fondi pubblici.

La mancanza di garanzie su questo aspetto è in parte fotografata dallo stato dell’arte di uno dei settori al centro di questo dibattito e più coinvolto nella corsa all’elettrificazione: quello automotive. Secondo uno studio di Transport&Environment, meno di un quinto dei minerali per batterie (litio, cobalto e nichel) che sarà necessario ai produttori europei entro il 2030 è stato assicurato tramite accordi a lungo termine, joint venture o investimenti in progetti di raffinazione o estrazione. Non a caso, tra gli OEMs più virtuosi in questo senso si annoverano Tesla e BYD, i due colossi dell’auto elettrica che, con strategie diverse, sono ben posizionati per beneficiare della transizione a scapito dei produttori europei.

Un dato che dimostra due cose: da una parte, la disconnessione tra gli obiettivi della politica e i mezzi dell’industria privata, dall’altra la difficoltà della classe dirigente europea di garantire strumenti di politica industriale che siano coerenti con gli obiettivi imposti alla seconda. A partire dalle materie prime critiche, ed emulando quanto finora fatto di buono con l’European Chips Act, serve un cambio di passo deciso: lo European critical raw material act è una presa di coscienza, ora serve mettere in campo risorse e volontà politica per perseguirne gli obiettivi.



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