Il paese nipponico vuole ritagliarsi un ruolo sempre più preponderante nell’industria dei semiconduttori. Dai materiali strategici passando per la litografia, fino ad attirare le fonderie avanzate per la produzione di chip: ecco la strategia di Tokyo…
Un tempo acerrimo nemico nel cruciale passaggio degli anni Ottanta, quando con l’ascesa dei sui giganti dell’elettronica come Nec, Fujitsu e Hitachi sfidò l’allora egemonia tecnologica americana sui semiconduttori, oggi il Giappone vuole tornare a giocare un ruolo di primo piano nell’industria più decisiva per gli equilibri geopolitici globali.
Si tratta, in parte, di un revival tutto asiatico e che già vede gran parte dell’ecosistema dei chip mondiale gravitare intorno a Taiwan, Corea del Sud e Cina con ciascuno una propria nicchia di specializzazione. Ma se questa configurazione è stata il prodotto di decenni di intensa globalizzazione, libero mercato e abbassamento delle barriere commerciali, oggi non è più così. Lo stato torna a voler svolgere – come fatto in passato – un ruolo chiave nell’industria dei semiconduttori, soprattutto in quei segmenti con il più alto tasso di crescita e con la concentrazione di mercato più elevata.
Il Giappone sta infatti adottando nuove e importanti politiche industriali, con l’obiettivo di ripristinare la sua competitività internazionale. Alla fine degli anni ’80, l’industria giapponese rappresentava oltre il 50% della produzione mondiale, una cifra scesa al 9% nel 2022. Secondo alcune stime del governo, oggi l’industria giapponese sconta un ritardo di circa 10 anni rispetto ai leader tecnologici mondiali. Tuttavia, rispetto alla forte enfasi sulla protezione dell’industria nazionale e sui limiti agli investimenti diretti esteri (Fdi) che aveva caratterizzato l’approccio nipponico alle sue industrie strategiche, oggi la strategia del paese è calata in un contesto dell’industria dei chip che richiede, necessariamente, forme di collaborazione per la condivisione di know-how e tecnologie anche in un’ottica di de-risking.
Tra le iniziative in questa direzione, la firma nero su bianco nel maggio del 2022 della Japan-US Commercial and Industrial Partnership (Jucip), per una collaborazione nippo-americana più forte, al fine di rafforzare la catena del valore in una fase storica di tensioni, la R&D congiunta in segmenti chiave e una maggiore sinergia tra organizzazioni pubbliche che svolgono attività di ricerca nel settore. Sempre nello stesso mese, all’apice del chipcrunch che aveva messo in ginocchio intere industrie, il Giappone ha emanato l’Economic Security Promotion Act (ESPA), che ha raccolto quattro leggi distinte. L’Espa ha imposto alle aziende giapponesi di considerare la sicurezza economica nel loro processo decisionale: un aspetto importante considerando soprattutto la fragilità dell’economia giapponese di fronte alle importazioni di materiali critici dalla Cina (Tokyo, a differenza di altre capitali, ha dimostrato di aver imparato dalla lezione del 2010 con la crisi delle terre rare, riducendo di oltre il 50% la dipendenza da Pechino) e alla carenza di fonderie (fab) avanzate sul suolo nazionale.
Oltre all’accordo bilaterale Usa-Giappone, i due Paesi partecipano all’US-East Asia Semiconductor Supply Chain Resilience Working Group (noto anche come “Fab 4”), un’alleanza guidata dagli Stati Uniti nel settore dei semiconduttori che comprende anche Taiwan e Corea del Sud. Il Fab 4 ha tenuto il suo primo incontro nel febbraio 2023. Il Giappone, al pari di Usa ed Europa, ha reagito con un focus specifico sul segmento foundry dove la dipendenza dall’estero – seppur in una filiera accorciata rispetto agli alleati – è più marcata. Il Paese, un tempo leader, ha perso competitività nella fabbricazione di chip Dram (lasciando il trono alle coreane SK Hynix e Samsung), ha mantenuto capacità produttive ma operate dall’americana Micron Technology – cui il governo giapponese ha assicurato sussidi per oltre 300 milioni di dollari – mentre è rimasto ben lontano (circa sui 40 nanometri) dalla frontiera tecnologica in cui operano Tsmc e Samsung.
Nella strategia nazionale lanciata a giugno del 2021, il ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (Meti) ha delineato tre pilastri: 1) il rafforzamento, come visto, della partnership con gli Stati Uniti; 2) lo sviluppo di tecnologie game-changing lungo la filiera; 3) il rafforzamento della base industriale per la manifattura di semiconduttori, principalmente maturi o altrimenti chiamati legacy chips (in cui è preoccupante l’ascesa della Cina). A parte il primo punto, che rimane di contorno, gli altri due sono particolarmente rilevanti – e complementari – se si analizzano le iniziative pubblico-private più recenti e di come puntano a valorizzare le nicchie di specializzazione delle aziende giapponesi in quest’industria.
Presidiare i gioielli sul mercato
Il Giappone infatti, nonostante costi di produzione sicuramente più elevati, è il candidato principale per diventare un hub di produzione di semiconduttori alternativo alla Cina e a Taiwan. Soprattutto per la presenza e la leadership del paese nella produzione di materiali ed equipaggiamento necessari alle attività foundry e che già vedono le aziende nipponiche quali fornitori affidabili. Parliamo di dispositivi per la litografia ultravioletta (Euv), fotoresistori, fotomaschere, materiali critici per l’industria e produzione di wafer di silicio.
È il caso, per esempio, di JSR Corporation. Fondata nel 1948 e con sede nella capitale, insieme ad altre tre aziende giapponesi conta circa per il 75% della produzione globale di fotoresistori, materiali speciali altamente sensibili alla luce ultravioletta che viene proiettata sul wafer di silicio durante l’incisione dei chip, aiutando ad isolare il pattern disegnato e applicato attraverso l’impiego di fotomaschere. JSR è fornitore di TSMC, Samsung e Intel e gode del 30% del mercato. A giugno scorso, la Japan Investment Corporation (Jic), praticamente un fondo supervisionato dal Meti, ha annunciato di voler rilevare una quota significativa dell’azienda per un accordo complessivo di $6.4 miliardi, una cifra premium del 50% rispetto alla sua capitalizzazione di mercato alla chiusura delle borse quel giorno.
L’annuncio ha creato alcuni malumori sul mercato, in particolare tra i clienti e gli investitori dell’azienda dal momento che un ingresso così aggressivo dello Stato giapponese – in assenza di un’evidente situazione di difficoltà economica, considerando la crescita solida dell’azienda con un +20% di vendite nel 2022, trainate di quasi un terzo dalle vendite di fotoresistori – potrebbe essere un segnale di ritorno della politica industriale come ai tempi del secondo dopoguerra. Nell’ottica del governo giapponese, l’acquisizione sarebbe invece funzionale alla strategia nazionale sui chip per riorientare il management dell’azienda su un binario di crescita e pianificazione a lungo termine (bilanciando i dividendi agli shareholder) e accrescendo le vendite di JSR ai chipmakers che operano e opereranno in Giappone. Un’operazione che risponderebbe, soprattutto, alle necessità di sicurezza economica del paese, ma che rimane in bilico secondo la ricostruzione del Financial Times.
Scommessa sull’innovazione
Se il presidio del governo sembra essere troppo aggressivo nel campo dei fotoresistori, nel segmento dell’equipaggiamento EUV il paese ha accolto in pieno la sfida del mercato. Ne sono un esempio eclatante due aziende che rappresentano, per certi versi, il vecchio e il nuovo: Canon e Rapidus, che esemplificano anche un’epoca segnata da fratture molto diverse nell’industria dei semiconduttori.
Canon è stata per lungo tempo, insieme a Nikon, l’azienda madre della litografia, rappresentando un binomio che ha messo gli Stati Uniti in una posizione di rincorsa dovuta al declino delle sue aziende nazionali sempre nel passaggio cruciale degli anni 80’. Poi, con l’ascesa di ASML e il ruolo giocato dagli investitori americani e la creazione di un ecosistema di fornitori specializzati europei, come ricostruito da Alessandro Aresu, le aziende giapponesi hanno progressivamente perso il loro ruolo cruciale nella fabbricazione dei dispositivi più avanzati e così la centralità tecno-industriale per avanzare la Legge di Moore. Oggi, l’azienda olandese rappresenta oltre il 90% del mercato dei dispositivi EUV più avanzati, e ha da poco spedito ad Intel l’ultimo gioiello: la Twinscan EXE:5000 High-NA.
Tokyo Electron, con il 27% del mercato di equipaggiamento per la fabbricazione di chip nel 2021, rimane un attore essenziale ma che deve competere con altre aziende come le americane Applied Materials, KLA Corporation e Lam Research che rappresentano circa il 42% dello share. Ma è con un sussulto di orgoglio aziendale, e nazionale, che il Giappone vuole provare a contendere il dominio della rivale olandese e sconvolgere nuovamente l’industria.
Proprio ieri, Canon ha annunciato risultati ben oltre le aspettative nel suo tentativo di colmare il gap con ASML: ad ottobre 2023, l’azienda aveva svelato un nuovo processo di incisione. La litografia nano-imprint (Nil), tecnologia in fase di sviluppo da oltre 15 anni ma che secondo l’azienda è soltanto ora commercialmente valida, imprime i progetti dei chip sui wafer di silicio anziché inciderli con la luce ultravioletta. Secondo Canon, il processo sarà più economico e utilizzerà fino al 90% di energia in meno rispetto alla tecnologia a ultravioletti estremi (Euv) di Asml. Più efficiente e soprattutto meno costosa in termini di investimenti per conto di capitale: un aspetto fondamentale e che riguarda da vicino i produttori, sempre più sotto pressione per l’aumento della domanda di chip per l’IA e non solo.
Sebbene possa essere meno costoso utilizzare la Nil per la modellazione di alcuni strati sui wafer di silicio, secondo gli esperti si tratta di una tecnologia che utilizza un processo differente e materiali diversi da quelli utilizzati dai sistemi ottici. E che richiederà, dunque, applicazioni tecnologiche alternative. “Per diffondere ulteriormente la litografia nanoimprint, saranno necessarie nuove applicazioni che non hanno ancora processi produttivi consolidati. L’applicazione guida la tecnologia e la tecnologia abilita l’applicazione” aveva puntualizzato Thomas Uhrmann, direttore dello sviluppo commerciale di EV Group che opera nel settore.
Se Canon riuscirà a portare sul mercato questo nuovo dispositivo – l’idea è di iniziare a produrre chip di memoria Nand – è tuttavia da vedere come e se incalzerà i produttori Euv, quali prodotti verranno presi di mira e se questo avrà conseguenze anche sugli equilibri geopolitici dal momento che una tecnologia accessibile ed economica per produrre chip avanzati potrebbe sconvolgere il regime di export control degli Stati Uniti. Sicuramente Canon potrà contare sul crescente mercato cinese, dal momento che si tratterà di un prodotto al momento al di fuori del presidio del Bureau of Industry and Security, per via di applicazioni al momento non sensibili per la sicurezza nazionale.
Investire sui nodi avanzati
Ben diverso è, invece, il focus di business e tecnologia della start-up Rapidus. Si tratta di un consorzio di aziende giapponesi che collaborano con Ibm Research per sviluppare la tecnologia dei semiconduttori a 2 nm di Ibm (attualmente prodotta solo da Tsmc, che ha annunciato investimenti in Giappone per operare, tuttavia, fonderie a nodi più maturi), da produrre in una o più fabbriche annunciate sull’isola. La prima fabbrica, che sarà costruita a Hokkaido, dovrebbe essere avviata tra il 2026 e il 2027. Rapidus aveva precedentemente avviato una partnership con l’Imec, la principale organizzazione di ricerca sulla microelettronica in Europa con sede in Belgio e che collabora con quasi tutte le principali aziende di dispositivi, apparecchiature e materiali per semiconduttori del mondo.
I membri del consorzio sono aziende giapponesi che operano in settori high-tech e della finanza, tra cui Toyota, Sony, NTT, NEC, Kioxia (Toshiba), Softbank, Denso e Mitsubishi UFJ Bank. È un dato significativo che molti dei partner del consorzio siano altresì grandi consumatori di chip, e che probabilmente costituiranno un mercato iniziale per l’avvio della produzione. Rapidus sta ricevendo un sostanziale sostegno finanziario dal governo giapponese, di circa 530 milioni di dollari, la maggior parte dei quali sarà utilizzata per acquistare due macchine Euv proprio da Asml. È dunque evidente che nell’industria dei semiconduttori, come dimostra il revival di Canon e la necessità del consorzio di rivolgersi al suo rivale, collaborazione e competizione siano due facce della stessa medaglia (lo confermano gli oltre $300 milioni di dollari di incentivi del governo nipponico per un sito di produzione di semiconduttori ottici assicurati ad NTT, SK hynix e Intel). Alla fine di aprile 2023, il governo ha annunciato che avrebbe fornito altri 260 $1.94 miliardi a Rapidus “per rafforzare le operazioni di ricerca e sviluppo dell’azienda”. Si prevede che il progetto Rapidus richiederà circa $35.1 miliardi di dollari di investimenti per iniziare la produzione di massa di semiconduttori.
Il lancio di Rapidus, battezzato con favore dal governo americano e supportato dal Meti, è un punto fondamentale per la diversificazione delle forniture di chip ai nodi più avanzati. Rapidus opererà come fonderia all’avanguardia, ma non intende competere testa a testa con colossi come Tsmc e Samsung nella produzione di semiconduttori ad alti volumi (misurati in wafer-per-month). Rapidus si concentrerà, invece, su tecnologie di nicchia specializzate che possono ottenere un prezzo premium rispetti ai prodotti dei due rivali. Ad aumentare le probabilità di successo del consorzio, la contemporanea presenza di fornitori affidabili di materiali ed equipaggiamento, il forte appoggio politico e finanziario delle istituzioni giapponesi e la vicinanza ai clienti. Un consorzio che rappresenta molto bene gli sforzi del Giappone per tornare tra i giganti del silicio.