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Gigafactory di Northvolt, così l’Europa lancia la sfida sulle batterie elettriche

Il produttore di batterie norvegese si è assicurato 5 miliardi di euro di finanziamenti da una cordata di banche d’investimenti e commerciali europee. Un flusso di capitali per sostenere l’ambizione di Peter Carlsson e Paolo Cerruti: diventare un unicorno europeo nel settore dell’elettrificazione. E lanciare la sfida alle rivali cinesi per il mercato EV europeo…

La competizione internazionale sulle batterie elettriche si accende, con l’Europa che finalmente sembra voler fare sul serio. Nella giornata di ieri, la società svedese Northvolt, con sede a Stoccolma, che opera nel settore degli accumuli energetici e delle batterie per veicoli elettrici e fondata nel 2016 dall’imprenditore Peter Carlsson e dall’ingegnere torinese Paolo Cerruti (entrambi con esperienza pregresse in Tesla), ha annunciato di aver ottenuto una serie di finanziamenti corposi da istituzioni bancarie europee.

Sono 4,6 miliardi di euro per l’espansione della sua gigafactory “Ett” (aperta ufficialmente nel dicembre del 2021 a Skelleftea, nel nord della Svezia, principale hub minerario del paese nordico) per la produzione di catodi e celle per batterie, oltre all’ampliamento di un impianto adiacente per il riciclo delle batterie, Revolt Ett. Il recupero degli scarti di produzione e delle batterie a fine vita è significativo per l’azienda, che utilizzerà un processo di trattamento chimico multi-stadio per processare materiali critici come nichel, cobalto, manganese e litio e così essere riutilizzati nelle linee di produzione.

Un segmento che Northvolt, al pari della Commissione europea, ritiene strategico per lo sviluppo di una filiera continentale maggiormente integrata dal momento che l’Europa rimane vulnerabile rispetto alle forniture di materie prime critiche come litio, cobalto, nichel, grafite e manganese nonostante gli auspici dell’European Critical Raw Materials Act. Northvolt rimane l’unico attore europeo attivo nella produzione di celle per batterie al litio, e ha di recente ottenuto il via libera da Bruxelles per la costruzione di un impianto in Germania con circa 1 miliardo di euro di aiuti di Stato dal governo tedesco, mentre altri 2 miliardi sono stati assicurati dalle istituzioni canadese per un progetto a Montreal.

Il vice-presidente esecutivo della Commissione europea, e padre dell’European Battery Alliance (EBA), Maros Sefcovic, ha commentato: “Si tratta di un business dall’importanza strategica quello delle batterie, e un campo di battaglia per la competitività globale. Northvolt, nostro pioniere delle batterie, dimostra come l’Europa abbia in casa quello che serve per costruire un ecosistema innovativo, sostenibile e globale. Sono orgoglioso del successo di Northvolt così come degli altri 160 progetti che stanno prendendo forma lungo la catena del valore”.

Il finanziamento prevede un round di fondi che verranno elargiti da un gruppo di 23 banche commerciali e d’investimento (tra cui JP Morgan, Citigroup, BNP Paribas), tra cui la Banca Europea per gli Investimenti (EIB) e la Nordic Investment Bank (NIB). Peter Carlsson, ceo di Northvolt, lo ha definito “una pietra miliare per la transizione energetica europea”. I circa 450 milioni di euro previsti dall’EIB verranno garantiti dallo Swedish National Debt Office, ulteriori 400 milioni dal programma InvestEU della Commissione europee e 126 milioni verranno forniti sottoforma di prestiti intermediati a Northvolt da banche commerciali. Nel 2018 l’EIB aveva già assicurato alla start up un prestito di 52 milioni di euro per il lancio del progetto pilota per la linea di produzione di celle con il supporto del programma InnoFin, seguito da ulteriori 319 milioni per la prima fase della gigafactory di Ett nell’ambito del Green Deal Industrial Plan.

Attraverso questo prestito, il produttore di batterie nordico si è così assicurato circa 13 miliardi di fondi azionari a debito per supportare il crescente mercato dei veicoli elettrici (EV) in Europa e l’espansione del suo business tra Svezia, Polonia, Germania, Stati Uniti e Canada. Secondo le stime, l’aumento della capacità produttiva di Northvolt raggiungerà i 60 GWh dai 15 GWh attualmente operativi: si tratta del più grande investimento green fino ad ora veicolato da istituti di credito in Europa, con l’obiettivo di creare una filiera integrata e circolare per batterie al di fuori del network di produzione asiatico.

Secondo quanto riportato, l’azienda si è assicurata contratti a lungo termine con colossi dell’automotive come Bmw, Volvo e Volkswagen. Tra i punti di forza, la sostenibilità dei suoi prodotti con l’impiego di energia rinnovabile nei suoi impianti e il focus sull’economia circolare. Due aspetti che, tuttavia, non hanno ancora assicurato all’azienda (e più in generale al continente) quella scala industriale necessaria per competere a livello globale. L’Europa al momento conta soltanto per il 3% della produzione globale di celle per batterie elettriche – un segmento attualmente dominato dalla Cina (70% della capacità produttiva) con i colossi come Catl, Byd e Eve Energy e Svolt e dai produttori coreani come LG Energy Solution, Samsung SDI, SK Innovation e la giapponese Panasonic – ma punta a raggiungere tra il 20 e il 25% del mercato entro la fine del decennio.

Sempre sulla strada dei sussidi e degli investimenti pubblici, la Corea del Sud ha di recente annunciato un piano industriale per supportare l’ecosistema nazionale delle batterie da $39 miliardi, a supporto delle sue aziende di punta come LG Energy e Samsung.

Tra le possibili strade della competizione in questo settore, vi è anche quella dell’innovazione di cui Northvolt è sicuramente pioniera. A novembre, l’azienda ha annunciato di aver testato con successo la prima cella basata sul sodio, tecnologia che potrebbe catturare un segmento importante del mercato delle batterie per via delle prestazioni elevate (densità energetica) e dell’utilizzo di materiali abbondanti come il sodio e non critici. Secondo alcune stime, le batterie al sodio potrebbero essere circa 20-30% meno costose rispetto alle batterie al litio ferro fosfato (Lfp), attualmente tra le più utilizzate sul mercato (specialmente quello automobilistico). Ma si tratta di una corsa che vede agguerrite anche Byd e Catl.

Tuttavia, questa tipologia di batterie rimane ancora allo stadio di sviluppo e perfezionamento, con meno di 150 GW di produzione prevista entro il 2030 secondo le proiezioni di Benchmark Minerals Intelligence. Una tecnologia che, allo stato attuale, può essere impiegata per veicoli di ridotte dimensioni e con un driving range limitato rispetto alle prestazioni che garantiscono le più rodate batterie al litio.

Nel breve-medio periodo, è probabile che gli equilibri di mercato si giocheranno sulle versioni più accessibili di quest’ultime. Diverse fonti indicano che il prezzo delle celle per Lfp per batterie EV in Cina stia scendendo sotto i 56$/kWh; Leapmotor – azienda cinese che ha di recente siglato una joint venture con Stellantis per sviluppo e produzione di batterie in Cina – ha dichiarato che il prezzo può essere ulteriormente ridotto a 45 dollari/kWh. Sia Catl che Byd hanno messo in atto strategie di riduzione dei prezzi delle batterie per il 2024, nell’ottica di aggredire il mercato estero. Tra gennaio e ottobre del 2023, secondo i dati di Adamas Intelligence, le Lfp hanno guadagnato significativamente il terreno a scapito delle batterie con alto contenuto di nichel: un trend dettato dal dominio cinese sia nella produzione che nell’installazione, ma anche per un raffreddamento dei prezzi dei litio ai minimi da circa due anni.

A livello globale, sono state annunciate gigafactory per un totale di nove terawattora (TWh) entro il 2030. Sebbene l’82% di questa capacità sia localizzata in Cina, Stati Uniti ed Unione Europea hanno annunciato politiche industriali volte a incoraggiare la produzione nazionale che, auspicabilmente, vedranno questa percentuale scendere al 68% nel 2030 con la partecipazione di aziende coreane, cinesi o giapponesi.

In Europa, oltre la metà della capacità di 1,2 TWh prevista per il 2030 si collocherà tra Germania, Ungheria e Francia, che ospiteranno 19 delle 36 gigafactory della regione. A differenza degli Stati Uniti – dove le clausole dell’Inflation Reduction Act (IRA) sono state concepite per sviluppare un ecosistema di produttori e fornitori, minimizzando l’influenza cinese – l’Europa è più incline ad accettare investimenti e partnership con aziende cinesi. Nel 2030, due delle cinque gigafactory più grandi d’Europa saranno gestite da Catl in Ungheria e Germania. L’Italia, con tre gigafactory pianificate, rimane il fanalino di coda tra i paesi fondatori dell’Ue.

Tra i nodi più complessi, rimangono le capacità di approvvigionamento di materie prime critiche, con la competizione che si farà sempre più accesa per assicurarsi forniture di materiali battery grade. Soprattutto in un contesto geopolitico in cui Pechino non ha certamente rinunciato a tutelare i propri interessi facendo leva sul controllo della supply chain (dalle miniere alla raffinazione, come nel caso della grafite) e a rispondere all’offensiva statunitense su un altro settore strategico: quello dei semiconduttori.



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