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Auto elettriche, tariffe sulla Cina solo per incentivare produzione europea

Secondo un’analisi di T&E, la Commissione dovrebbe applicare dazi sulle importazioni di veicoli a batteria nell’ottica di una strategia industriale propositiva, non per difendere lo status quo. Intanto Pechino alza la voce sulle misure americane

La vendita di auto elettriche a batteria e ibride plug-in in Europa – rispettivamente al 14.6 e 7.7% dello share nel 2023 – è una questione ormai dirimente per la politica europea. Da una parte vi è l’impegno alla decarbonizzazione dei trasporti su strada, con il bando alle auto termiche previsto per il 2035, dall’altra la necessità per gli automakers europei di rincorrere la Cina nell’industria e filiera delle batterie al litio. Nel mezzo, Pechino non sta a guardare ed è pronta a riversare sul mercato Ue la capacità produttiva dei grandi gruppi come Byd e Catl, puntando sulla maggiore economicità di veicoli e pacchi batteria.

In questo scenario, quale dovrebbe essere dunque la posizione di Bruxelles? Quali misure la Commissione europea dovrebbe intraprendere a conclusione dell’indagine annunciata lo scorso autunno sui sussidi che lo Stato cinese avrebbe garantito alle sue industrie? Secondo un’ultima analisi del think tank Transport & Environment (T&E), l’obiettivo dell’Ue dovrebbe essere quello di proseguire l’elettrificazione della flotta ai fini climatici, ma farlo in un modo che non urti gli interessi sociali, economici e di sicurezza del continente.

Molti hanno sollevato dubbi sulla fattibilità di una decarbonizzazione imposta dall’alto, violando il cosiddetto principio di neutralità tecnologica, con il ricorso alla mobilità elettrica basata sulle batterie al litio. Prezzi inaccessibili, mancanza di infrastrutture di ricarica, disinteresse dei consumatori verso prodotti non ancora del tutto compresi. Resta tuttavia il fatto che, nonostante un contesto macroeconomico sfavorevole, è più che probabile che nell’incertezza e nelle difficoltà dei gruppi automotive europei si inseriscano con forza i cinesi. Secondo lo studio di T&E, un quarto dei veicoli elettrici venduti nel 2024 sarà stato prodotto in Cina, tenendo conto sia dell’offerta delle aziende cinesi come Byd, Geelt, Nio e SAIC sia delle auto elettriche a batteria (BEV) prodotte da Tesla nella gigafactory di Shanghai (28% delle importazioni UE) o di gruppi come Volkswagen, Bmw o del gruppo Renault (con la Dacia, 20%) il cui CEO, Luca di Meo, ha ribadito la portata della sfida ai policymakers e agli altri grandi gruppi in una lettera dai toni allarmati la scorsa settimana.

L’anno scorso, già il 19.5% delle BEV vendute in UE era stato prodotto in Cina. Solo i brand cinesi potrebbero prendersi una quota dell’11% del mercato, salendo addirittura al 20% nel 2027. Il gruppo Byd ha visto aumentare la sua quota dal 0.4% del 2019 all’8% del 2023. Una crescita che difficilmente potrà arrestarsi, considerando la strategia di prezzi aggressiva inaugurata dalle industrie cinesi e la leadership tecnologica e di mercato di Catl sulle batterie (che ha annunciato, in questi giorni, una nuova partnership con la rivale di Byd, Tesla). Una sfida epocale che richiede una strategia industriale adeguata e coordinata tra Bruxelles e i rappresentanti del mondo automotive.

“Alzare le tariffe ad almeno il 25% (dal 10% di oggi) potrebbe corrispondere a quanto originariamente imposto dagli Stati Uniti”, si legge nel report, una cifra che basata sui prezzi di vendita medi dei veicoli elettrici potrebbe generare tra i “€ 3 e i 6 miliardi di entrate” annuali, risorse che potrebbero essere reinvestite per localizzare ulteriormente la supply chain delle batterie in Europa. Tuttavia, sarebbe necessario affiancare a questa misura difensiva anche una “spinta regolatoria per accelerare i piani di BEV per il mercato di massa”. Un messaggio, quest’ultimo, lanciato alle case automobilistiche europee che, sempre secondo T&E, stanno lasciando questo segmento – meno remunerativo e poco premiante per i dividendi agli azionisti – alla penetrazione di veicoli cinesi a basso costo, privilegiando invece modelli premium. In ogni caso, l’applicazione di tariffe commerciali potrebbe rendere le auto elettriche prodotte in UE competitive rispetto a quelle fabbricate in Cina (attualmente più economiche tra il 5 e il 27% a seconda del segmento di vendita). Attualmente le società cinesi propongono veicoli elettrici compatti che costano l’equivalente di $14.000 dollari. Molto più complesso trovare un BEV in UE, come negli Stati Uniti, a meno di $30.000 o addirittura $40.000.

Resta il fatto che, anche qualora la Commissione concludesse l’indagine con evidenze sul ruolo di Pechino nei sussidi e aiuti di Stato concessi nel tempo alle sue industrie, il vantaggio tecnologico e di scala acquisito da Byd e Catl resterà un vantaggio competitivo nel breve-medio periodo, a meno di clamorosi scenari di sorpasso tramite l’innovazione in batterie alternative come promettono gli sforzi di Northvolt (che ha inaugurato una gigafactory in Germania negli scorsi giorni). Le tariffe saranno una misura di politica commerciale che dovrà essere accompagnata da una solida politica industriale per provare a recuperare il terreno perduto in efficienza manifatturiera e tecnologia. Considerando anche che le case automobilistiche cinesi potrebbero essere in grado di assorbire tariffe più elevate e di realizzare comunque profitti sui modelli, potendo contare sui volumi di vendita in Cina più ampi rispetto all’Ue.

Intanto, con €180 miliardi di investimenti pubblici e privati iniettati nella catena del valore delle batterie – in predominanza gigafactory, lasciando tuttavia scoperto in termini di finanziamenti i settori upstream e midstream nella lavorazione di materiali critici come litio, cobalto e nichel, che l’European Critical Raw Materials Act faticherà a promuovere sulla scana necessaria per raggiungere gli obiettivi di approvvigionamento al 2030 – l’UE potrebbe garantire due terzi della domanda dalla produzione di celle per batterie sul continente. Salvo lasciare, appunto, solo ai mercati la sicurezza delle forniture dei materiali (a differenza dell’Inflation Reduction Act – IRA americano).

Per non innescare una guerra commerciale con la Cina – i cui investimenti diretti lungo la filiera in Europa sono significativamente aumentati nel 2023, grazie alle gigafactory di Catl in Ungheria e Germania, oltre al nuovo impianto di produzione di BEV di Byd nel paese dell’Europa orientale: ad oggi, oltre l’80% della produzione mondiale di batterie è localizzato Cina, ma si prevede che scenderà al 68% entro il 2030 grazie agli sforzi di reshoring in Europa e negli Stati Uniti, mentre 1 azienda su 5 che ha investito in GWh in UE è cinese, secondo i dati T&E – gli eventuali dazi dovranno essere calibrati con estrema cautela, anche per non colpire gli automakers europei che hanno delocalizzato la produzione in Cina.

“L’obiettivo della politica commerciale europea per il futuro” concludono “dovrebbe essere quello di garantire la produzione locale, cioè il “made in Europe”, e non quello di proteggere le aziende storiche dalla concorrenza”. Buona parte del successo di questa strategia dipenderà dall’esito delle elezioni europee di giugno: la certezza o incertezza normativa farà una grande differenza per i produttori europei.

Intanto, in Cina il ministero del Commercio ha annunciato che intende incentivare l’acquisto di automobili attraverso l’erogazione di nuovi sussidi nel corso del 2024. Si è trattato di un’ulteriore conferma dopo l’approvazione, da parte delle Riunioni Esecutive del Consiglio di Stato, del “Piano d’azione per la promozione della sostituzione delle attrezzature su larga scala e dei beni di consumo” all’inizio di questo mese. Nel frattempo, il governo municipale di Shanghai ha esteso il sussidio per la permuta di autoveicoli, che prevedeva 2.800 remimbi per unità ICE e PHEV e 10.000 Rmb per unità per i veicoli interamente elettrici (un chiaro segnale verso quale direzione spingono i governi locali e per estensione quello centrale). Secondo le stime degli analisti, questa nuova tranche di sovvenzioni fornirà circa tra i 10.000 e i 15.000 remimbi a veicolo per i New Energy Vehicle (NEV) – così sono chiamati in Cina i veicoli a batteria – e 5.000-10.000 remimbi per i veicoli ICE. L’ammissibilità delle sovvenzioni sarà determinata dagli standard di emissioni fissati dal governo centrale. Un sussidio che sarà probabilmente più vantaggioso per BYD, seguita da Leapmotor, XPeng, Geely, Chang’an Auto, GAC e Great Wall, dal momento che sono relativamente esposti (per numero di modelli, chi più chi meno) per le auto elettriche a batteria a basso prezzo. La BYD Atto3, per esempio, è stata recentemente scontata a meno di 17.000 dollari. Se il prezzo finale sia direttamente o indirettamente sovvenzionato è proprio parte dell’indagine avviata (e in fase conclusiva) della Commissione Ue.

Intanto, la Cina ha ufficialmente depositato al World Trade Organization (WTO) una rimostranza nei confronti delle pratiche, ritenute “discriminatorie”, dell’IRA statunitense. Pechino, tramite i suoi rappresentanti, ha fatto sapere di aver avviato il procedimento “per salvaguardare i legittimi interessi dell’industria cinese dei veicoli elettrici e per mantenere un’equa concorrenza sul mercato globale”. Il mercato Usa è sostanzialmente vergine dall’invasione di BEV cinesi, dal momento che rimane un terreno di caccia di Tesla mentre le clausole anti-Pechino dell’IRA prevedono di sovvenzionare veicoli made in America, con componenti e materiali fabbricati negli Stati Uniti o forniti da paesi alleati con in essere accordi di libero scambio.

Sotto pressione da Usa e Ue sul lato commerciale, la Cina potrebbe decidere di reagire con misure ritorsive, come avvenuto con il regime di licenze applicate all’export di grafite e altri materiali critici. Da non sottovalutare, inoltre, la sovraccapacità della Cina in materia di semiconduttori maturi e microcontrollori, sempre più impiegati nei veicoli elettrici.


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