Trattare con Donald Trump e confrontarsi con il trumpismo non è né giusto né sbagliato. È semplicemente necessario.
Occorre, pertanto, evitare le drammatizzazioni e sforzarsi di interpretare la nuova realtà che ci è dato vivere in una chiave il più possibile positiva. Il commento di Andrea Cangini
Non c’è dubbio che la rielezione di Donald Trump, soprattutto se letta alla luce dei fatti di Capitol Hill, nella vecchia Europa sia stata per molti uno shock. Siamo all’alba di un nuovo mondo le cui linee di frattura e i cui principi sono ancora tutti da individuare. Una cosa, però, è certa: né l’Italia né l’Europa possono fare a meno degli Stati Uniti. Le condizioni istituzionali, politiche, economiche e militari non lo consentono. Se, per assurdo, decidessimo di recidere lo storico legame che ci unisce a Washington, finiremmo annessi in condizioni di sottomissione da uno dei risorgenti imperi, quello russo o quello cinese. Forse da entrambi.
Trattare con Donald Trump e confrontarsi con il trumpismo, dunque, non è né giusto né sbagliato. È semplicemente necessario.
Occorre, pertanto, evitare le drammatizzazioni e sforzarsi di interpretare la nuova realtà che ci è dato vivere in una chiave il più possibile positiva. Ad esempio. Al netto della violenza verbale e dell’illiberalismo che trasudano le sue parole, la cifra politica di Donald Trump sembra essere il pragmatismo. Sia mai che, per resistergli, l’Europa dovesse diventare un po’ pragmatica anche lei…
Qualche segnale, in questo senso, è giunto. Il pacchetto competitività che la Commissione europea presenterà mercoledì a Bruxelles è stato sensibilmente emendato dall’ideologia green e a fine mese la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen presenterà “Omnibus”, la proposta legislativa sulla semplificazione che andrà a riscrivere parte sostanziale del Green deal alleggerendo gli oneri burocratici delle imprese per la sostenibilità ambientale.
A seguire, è annunciata la revisione dell’Ets, il sistema che impone il pagamento di una “licenza” per le imprese che producono emissioni nocive. Se, dunque, nella scorsa legislatura europea la parola d’ordine era decarbonizzazione, adesso è deregolamentazione, con gli sforzi per il clima che passano in secondo piano rispetto all’esigenza di restituire competitività alle imprese. Considerando che l’eccesso di regolamentazione e la scarsità di innovazione sono da sempre i limiti dell’Europa, il cambiamento di paradigma culturale appare tutto sommato positivo.
Ed è chiaro che non si sarebbe giunti a questo punto se non ci fossero state l’ondata delle destre in Europa e la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Non resta da augurarsi che analogo pragmatismo illumini le leadership nazionali dei Paesi membri per quanto riguarda la riforma della governance europea, condizione preliminare alla possibilità di una Difesa comune.
Piaccia o meno, il pragmatismo è l’unico modo per affrancare la vecchia Europa dagli storici condizionamenti statunitensi e dalla nuova egemonia trumpiana.