Alla Cina interessa solo invadere altri mercati e mantenere condizioni di sovracapacità. Parole come concorrenza, equilibrio commerciale, non sono nel vocabolario di Pechino. Sui dazi il Dragone potrebbe spuntare con gli americani condizioni persino migliori di quelle europee. Ma Bruxelles può giocarsi ancora la partita. Intervista a Beniamino Quintieri, presidente dell’Istituto per il Credito sportivo
Non si può dire che a Ursula von der Leyen mancasse l’ottimismo e la speranza quando, tre giorni fa, è salita sul volo che l’ha portata prima in Giappone e poi in Cina. Le cose però, sono andate diversamente. Almeno in parte. Se nel Sol Levante si è visto un film, nel Dragone se ne è visto un altro.
In Giappone, in piena crisi politica (il premier Shigeru Ishiba potrebbe dimettersi entro fine estate secondo i media) e 24 ore il sospirato accordo commerciale con gli Stati Uniti sui dazi, Bruxelles ha incassato una serie di piani per rafforzare la cooperazione commerciale e combattere le manomissioni del mercato ad opera della Cina, in primis. Tentando, anche di sterilizzare gli effetti collaterali della guerra commerciale.
A Pechino, dove von der Leyen ha incontrato il lider maximo Xi Jinping, sintonia e sorrisi di d’ordinanza a parte, il risultato è stato ben più misero, tanto che la dichiarazione finale è stata incentrata solo su un unico punto, il clima. Il messaggio alla Cina, però, il capo del governo comunitario lo ha mandato eccome: serve una concorrenza sana, perché quella attuale non ci assomiglia nemmeno un po’. Formiche.net ne ha parlato con Beniamino Quintieri, già presidente di Sace, oggi al timone dell’Istituto per il Credito sportivo e dalla lunga esperienza all’estero.
Quintieri, il bottino portato a casa da Ursula von der Leyen dal Giappone è ben diverso da quello cinese. C’era da aspettarselo?
Direi che era molto prevedibile, i giapponesi sono nella stessa condizione di debolezza dell’Europa, era più facile trovare un punto in comune. E poi esiste già un accordo di libero scambio tra Ue e Sol Levante. Sono due aree geografiche importanti e per giunta sulla stessa barca. E direi che era molto prevedibile anche il mezzo flop in Cina.
Perché?
Perché sono due mercati che si parlano poco e male e l’Europa ha poche carte da giocare con Pechino. Negli ultimi anni il deficit commerciale europeo verso la Cina è più che triplicato, le loro importazioni sono aumentate molto più delle nostre esportazioni. Semplicemente è cambiata la Cina, sono arrivati i prodotti a basso costo ma ad alta intensità di lavoro. Tutto questo ha distorto il mercato, portando a una concentrazione cinese in quasi tutti i settori strategici, dalle batterie all’uranio.
Von der Leyen ha chiesto maggior equilibrio nella concorrenza tra Ue e Dragone…
Parole al vento, di circostanza. L’Europa sa che alla Cina non importa granché di questo. E pensare che una volta il grosso del mondo dipendeva dalle aziende europee. Ma oggi la Cina ci sta superando in tutti quei settori dove noi eravamo leader globali. D’altronde, come possiamo pensare che possa essere altrimenti con un Paese che continua a sussidiare la propria economia, senza aumentare la domanda interna.
A questo punto, con il fianco orientale sotto scacco, per l’Europa diventa ancora più importante raggiungere un accordo commerciale, non crede?
Direi di sì, anche se comunque parliamo di tariffe al 15%. Il rischio che corriamo, paradossalmente, è che la Cina ottenga dagli Usa condizioni migliori dell’Europa. Questo perché il Dragone ha armi che l’Ue non ha, dai minerali critici alle materie prime. Ha molto più potere contrattuale.
E l’Europa quali carte ha da giocare con gli Stati Uniti?
Non molte. Dazi al 15%, come successo in Giappone, vorrebbero dire una perdita di competitività per l’Europa, se mettiamo nel conto anche la svalutazione del dollaro, dell’ordine del 30%. Una delle armi che può avere l’Europa è non negoziare solo sulla manifattura. Ma mettere sul tavolo anche la minimum tax, la tassa digitale e altre questioni. Limitare il negoziato alla manifattura sarebbe un errore, vorrebbe dire non usare tutte le armi presenti nell’arsenale. Dobbiamo, insomma, alzare il tiro.
I dazi ci hanno insegnato che il Wto è ormai in discussione. Lei che dice?
Dico che in questo momento il Wto è fuori uso, sparito dai radar. Già con l’amministrazione Biden era cominciata la sua demolizione. L’Europa può e deve guardare ad altri mercati, ma se parliamo di Organizzazione del commercio mondiale, oggi, parliamo del nulla.