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Phisikk du role – Perché l’Europa non manda Draghi a mediare sui dazi?

Il punto di domanda è se l’Europa abbia davvero voglia di un nuovo protagonismo, oppure intenda rifugiarsi nella un-confort zone in cui si è messa. La rubrica di Pino Pisicchio

Avevamo un’idea diversa fino a qualche mese fa su come dovrebbero svolgersi le relazioni internazionali. Sì, insomma, un’idea che aveva a che fare con la buona creanza tra Stati sovrani, col linguaggio – forse un po’ paludato, ma a questo punto evviva il paludato – della diplomazia che dispone di suoi precisi vocaboli e rifugge iperboli scatologiche o giù di lì e lessici da Rodomonte, che impone una “misura” e una certa stabilità nelle posture assunte perché anche uno Stato che non privilegia l’esperienza democratica, vivaddio, non mette il barometro della sua politica internazionale sul variabile perenne.

Non sappiamo se tutto questo nuovo look delle relazioni tra Stati appartenga ad una elaborata tattica messa in campo dagli strateghi che trovano ospitalità nei divani dello studio ovale alla Casa Bianca oppure si tratti di una neodiplomazia prêt-à-porter estratta dalla farina del sacco di Trump. Bisognerà ammettere, però, che non è facile capacitarsi del ribaltamento così vistoso che va dall’altalena delle posizioni nei teatri di guerra (che s’intenderebbero smantellare), al balletto infinito dei dazi.

Vero è che i sismografi più accorti, leggasi le borse, non sono sembrati particolarmente turbati da questa instabilità, evidentemente facendo regredire la valutazione delle uscite trumpiane a livello dell’antica strategia dell’al lupo, al lupo. Ma ciò non toglie che, anche in questo tempo così “creativo” delle relazioni internazionali, occorrerà darsi una mossa per stare sul pezzo senza farsi trascinare troppo e poi soccombere sotto i colpi delle giravolte carpiate un giorno sì e l’altro pure.

Ci vorrebbe, forse, un mediatore attrezzato anche per l’Europa, qualcuno che venga riconosciuto come tale dalla comunità internazionale, che abbia dimestichezza con le relazioni ad alto livello della finanza, che conosca sfumature, ombre, luci, regole, e offra una personale reputazione di super partes. Insomma uno come Mario Draghi. È francamente sconcertante constatare come, a fronte della gravissima crisi di leadership credibili che attanaglia questo nuovo tempo a tutti i livelli, quando si può disporre di una risorsa che già ha offerto all’Europa un documento strategico sulla competitività, una traccia fondamentale per disegnare l’Unione che verrà, ci assalga un attacco di smemoratezza.

Non dimentichiamo che quel documento affrontava il tema del confronto con le altre economie globali come America e Cina, rivendicando per l’Europa un ruolo non più subalterno ma protagonistico. Il punto di domanda è, allora, se l’Europa abbia davvero voglia di un nuovo protagonismo, oppure intenda rifugiarsi nella un-confort zone in cui si è messa.


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