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Povertà e transizione, due sfide da vincere. Ma come? Il commento di Becchetti

In questa fase di crisi demografica potremmo muovere verso modelli produttivi con lavoro più qualificato aumentando innovazione e qualità tecnologica che da una parte riduce lavoro ma allo stesso tempo lo rende più produttivo. Si tratta però di una transizione complessa. Il lato migliore da cui partire è sicuramente aumentare la formazione e la riqualificazione del lavoro, favorendo l’innovazione nelle imprese. Il commento di Leonardo Becchetti

Le ultime notizie di luglio ci dicono che i salari reali nel nostro Paese sono ancora del 7,5% inferiori a quelli del 2021. Il problema congiunturale (non aver recuperato la perdita di valore a seguito della fiammata inflazionistica originata dall’impennata dei prezzi del gas) si mescola a quello strutturale per il quale negli ultimi decenni i nostri salari reali sono praticamente rimasti al palo e siamo il fanalino di coda in area Ue. Del problema congiunturale si è detto.

Come già sottolineato dal rapporto Draghi siamo il Paese con il più alto tasso di dipendenza dall’estero per le fonti di energia (gas e petrolio) che ci hanno regalato le due grandi fiammate inflazionistiche degli ultimi cinquant’anni e ci hanno reso tutti più poveri. Abbiamo una clamorosa occasione per uscire da questa dipendenza con la crescita delle rinnovabili (il fotovoltaico è oggi il modo più conveniente di produrre energia e il 93% dei nuovi impianti installati nel mondo lo scorso anno produce energia da fonti rinnovabili) che ci consente di risolvere contemporaneamente diversi problemi: bollette meno care per famiglie e imprese, minor rischio inflazione, minore dipendenza dall’estero, contributo importante al contrasto al riscaldamento globale che non è più un problema delle generazioni future ma stiamo già pagando a caro prezzo.

Le ondate di calore sempre più frequenti (20 giorni in più di afa a Roma per fare un esempio rispetto a 15 anni fa) hanno aumentato la mortalità come dimostrato da recenti studi scientifici. Età avanzata, patologie pregresse, solitudine e basso reddito che impedisce di avere un condizionatore (si parla di cooling poverty) sono fattori di rischio che diventano sempre più importanti e costringono gli amministratori locali delle grandi città a preparare piani per cercare di fronteggiare l’emergenza.

Insomma nonostante questa grande occasione dobbiamo sentire ancora tante sciocchezze in giro che non fanno altro che testimoniare i limiti dell’homo sapiens e della nostra civiltà. Ad esempio cedere anche su questo fronte a Trump che non vede l’ora di venderci quanto più gas liquido possibile (a carissimo prezzo) sarebbe veramente tradire il nostro Paese. Del problema strutturale si è detto più volte. La nostra economia è forte nel terziario di mercato (turismo) e nelle piccole e medie imprese sono innovative e molto vitali ma quasi mai in posizione di preminenza nelle filiere globali dei prodotti.

Per queste caratteristiche ma anche per scelte peculiari che si sono pian piano accumulate abbiamo scelto un mix produttivo a bassa produttività del lavoro. Un modello diverso è possibile come testimoniano i nostri partner europei. Soprattutto in questa fase di crisi demografica potremmo muovere verso modelli produttivi con lavoro più qualificato aumentando innovazione e qualità tecnologica che da una parte riduce lavoro ma allo stesso tempo lo rende più produttivo. Si tratta però di una transizione complessa. Il lato migliore da cui partire è sicuramente aumentando formazione e riqualificazione del lavoro e favorendo l’innovazione nelle imprese.

Un altro elemento che fa da zavorra in questo momento è il ritardo nel rinnovo dei contratti di lavoro. Che rallenta non solo gli adeguamenti salariali al costo della vita ma anche l’incorporazione di quell’innovazione sociale (welfare aziendale, lavoro agile, nuove forme di bilateralità). Questo ritardo a sua volta non solo peggiora il benessere dei lavoratori ma riduce le loro motivazioni intrinseche riducendo la produttività dell’impresa. “Coesione è competizione” come ricorda il noto rapporto Symbola ed il lavoro di approfondimento sviluppato con Next e il Festival Nazionale dell’Economia Civile dove si evidenzia come le imprese con più “intelligenza relazionale” sono anche più competitive e produttive.

La vita d’altronde, nelle sue cose più importanti e preziose inclusa la vita delle imprese e del lavoro, non è un gioco a somma zero dove se io vinco tu perdi ma è un gioco a somma positiva dove “uno con uno” può fare più di due se siamo capaci di identificare e perseguire le occasioni di muto vantaggio. Una direzione che dobbiamo assolutamente valorizzare e riscoprire in questo momento storico in cui alcuni leader “giurassici” che stanno alimentando conflitti bellici e commerciali in giro per il pianeta, per loro interessi di potere, vogliono precipitarci di nuovo nel mondo Hobbesiano del conflitto e della scarsità.


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