L’annuncio di una struttura civile-militare per le operazioni cyber segna un cambio di paradigma nella difesa italiana. Non solo una risposta alla minaccia digitale, ma il primo passo verso una strategia organica contro la guerra ibrida, che coinvolge ogni settore della vita nazionale. La riflessione del generale Pietro Serino
Il recente annuncio del ministro della Difesa Crosetto di una struttura civile-militare dedicata alle operazioni cyber ha un valore molto più ampio di quello che appare a prima vista. È un’iniziativa che, pur rivolta alla minaccia cyber, rappresenta la prima risposta organizzativa alla guerra ibrida, la nuova forma di conflitto permanente che caratterizza la nostra epoca.
La guerra ibrida presenta tre caratteristiche che la rendono unica: utilizza come strumenti ogni campo di attività ed ogni fenomeno umano; predilige azioni che siano di difficile attribuzione a colui che le origina; agisce praticamente sempre ed ovunque.
Di fatto, la guerra ibrida è permanente e totalizzante ed in quanto tale, richiede risposte corali, che non possono essere affidate alle sole competenze dei militari.
Per essere combattuta, la guerra ibrida richiede nuove risposte organizzative, che coinvolgano tutte le risorse di uno Stato: militari e civili, pubbliche e private. In questo senso, l’iniziativa dell’Arma cyber nazionale, andando oltre la separazione tra risorse militari e risorse civili, rappresenta un interessante passo in avanti verso una completa riorganizzazione del Sistema di difesa e sicurezza nazionale.
Ovviamente, ci sono molti altri settori che richiedono un approccio simile. Senza la pretesa di essere esaustivi, si può pensare al Servizio sanitario nazionale, messo a dura prova dalla pandemia da Covid-19. Anche in quel caso si è assistito all’interazione tra civile e militare e tra pubblico e privato. Si è trattato, però, di soluzioni di contingenza, cui non è seguita nessuna riorganizzazione del comparto, mentre l’accresciuta importanza strategica della sanità richiederebbe una rivalutazione generale dell’attuale organizzazione, ivi compresa la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni amministrative. Altro settore è quello spaziale, che trarrebbe sicuro giovamento da un’integrazione delle competenze oggi suddivise tra Forze armate e Agenzia spaziale italiana.
Anche il comparto Intelligence andrebbe ripensato, prevedendo un maggiore coinvolgimento dello Strumento militare nazionale, che ha visto nel tempo le sue competenze ridursi fino a farlo dipendere pressocchè totalmente dalle Agenzie di sicurezza nazionale.
Ci sono poi settori che non sono proprio presidiati, come quello della guerra cognitiva, dove si pone l’esigenza di conciliare esigenze di sicurezza nazionale con diritti costituzionalmente garantiti. D’altronde, la guerra ibrida punta proprio a quello: a destabilizzare gli schemi sociali consolidati delle Nazioni prese come obiettivi.
Ma la vera svolta nel contrasto alla minaccia ibrida potrà darla solo la costituzione di un Consiglio Nazionale per la Difesa e la Sicurezza, presieduto dal presidente del Consiglio dei ministri o da un suo delegato. Una struttura politica che dovrebbe avvalersi di un Centro operativo permanentemente attivato, per monitorare minacce ed attacchi e rispondere a questi in modo coordinato, utilizzando tutte le risorse della nazione, militari e civili, pubbliche e private. Un Centro dove civili e militari condividono competenze e responsabilità e garantiscono, insieme, la sicurezza e la difesa del Paese.