Dalla ridefinizione del ruolo dell’Ue nella sicurezza alla necessità di difendersi dagli attacchi ibridi, fino al rapporto con gli Stati Uniti e con Mosca, l’Europa è chiamata a scegliere come adattarsi a un mondo più brutale e sempre più condizionato da logiche di potenza. In questo contesto, emerge la necessità di sviluppare una consapevolezza comune sulle sfide di domani e di essere pronti ad assumersi la responsabilità della propria sicurezza. Il dibattito ospitato dall’European council on foreign relations
Da cosa dipenderà il mantenimento della pace in Europa? Sempre che quella attuale possa essere definita pace, la sua fine o il suo prosieguo saranno dettati anche da come si comporterà l’Europa stessa nei prossimi anni. Rispondere agli attacchi ibridi di Mosca, fare sistema sul piano industriale e comunicare direttamente con le opinioni pubbliche sono solo alcuni degli spunti emersi durante il dibattito “Preventing war in Europe”, organizzato dall’European Council on Foreign Relations (Ecfr), che ha riunito relatori e speaker da tutta Europa per fare il punto sulla congiunzione internazionale che stiamo vivendo e sulle azioni necessarie che il continente deve intraprendere per garantire il futuro della sua sicurezza.
Adattarsi a un mondo più brutale
Nella sua conversazione con Flavia Giacobbe, direttore di Formiche e Airpress, Carl Bildt, già primo ministro e ministro degli Esteri svedese, ha osservato in prospettiva i cambiamenti intercorsi negli ultimi decenni. Bildt ha sottolineato in particolare il passaggio da un ordine fondato sul diritto internazionale a uno segnato dal ritorno delle logiche di potenza.
“L’Europa era abituata a un mondo basato sul diritto internazionale. Ora si deve adattare a un mondo più brutale”. Secondo Bildt, l’Unione europea sta cercando di aumentare la sua influenza sullo scacchiere internazionale, ma con risultati ancora limitati. L’esempio del Medio Oriente, secondo Bildt, è emblematico di questa difficoltà.
L’ex-primo ministro svedese ha anche affrontato il tema dell’autonomia strategica europea, sottolineando come ci si debba preparare a una riduzione dell’impegno convenzionale statunitense sul continente. “Innanzitutto bisogna sviluppare capacità autonome. Solo in quel momento potremo pensare all’autonomia”.
A tal proposito, Bildt ha anche sottolineato i rischi di una diversa percezione della minaccia russa in Europa. “Noi (i Paesi del Nord ed Est Europa, ndr.) la stiamo prendendo molto seriamente e ci stiamo rafforzando”. Se la stessa urgenza non verrà recepita anche dagli Stati mediterranei, avverte, “il rischio è quello di avere un Nord forte e un Sud debole”.
La necessità di rafforzare la consapevolezza degli europei è emersa anche dall’intervento di Nicu Popescu, co-direttore dell’European security programme dell’Ecfr e già ministro degli Esteri della Moldavia, ha avvertito che la guerra ibrida è una minaccia concreta.“La guerra ibrida non è solo disinformazione, ma una realtà cinetica che sta colpendo un numero crescente di Paesi europei”, ha ricordato. L’ondata di attacchi ibridi delle ultime settimane, avverte Popescu, deve suonare come un allarme per i pianificatori strategici. Il tempo per non porsi scenari scomodi da immaginare è finito. “È ridicolo non avere piani di contingenza solo per paura di spaventare l’opinione pubblica”, ha affermato. “La pace è importante quanto il pane e gli ospedali e questo le società sono in grado di capirlo”.
Riportare la pace in Europa?
Quale atteggiamento deve assumere l’Europa per ridurre il rischio di un conflitto? Dovrebbe cercare un punto di contatto con la Russia o rafforzare le proprie prerogative di sicurezza prima di mettersi al tavolo con Mosca? Il panel moderato da Mark Leonard, direttore dell’Ecfr, si è concentrato sulle risposte esterne che l’Europa dovrebbe mettere in campo rispetto all’attuale scenario internazionale.
“L’Europa non ha bisogno di un esercito europeo, ma di una difesa europea”, ha affermato Alessio Nardi, consigliere del ministro degli Esteri. Secondo Nardi, oltre a rafforzare la cooperazione industriale — settore in cui, segnala, Italia e Germania sono in prima linea — un modo per segnalare alla Russia la volontà di dialogare potrebbe essere la rimozione parziale delle sanzioni e un aumento delle importazioni di gas naturale.
Diversa l’opinione di Marta Dassù, direttrice di Aspenia, che ha invece sottolineato la necessità, presente e futura, di rafforzare il sostegno all’Ucraina. Diversamente, ha evidenziato, l’apertura potrebbe suonare come una sottomissione. Secondo Dassù, “La Russia conduce due guerre: una convenzionale in Ucraina e una ibrida nel resto d’Europa”. Per questo “l’Europa dovrebbe rafforzare la difesa ucraina, magari con sistemi di difesa aerea europei e forse anche con una flotta europea nel mar Nero”.
Ammesso che la guerra in Ucraina si concluda, il tema della sicurezza europea non verrà comunque meno. La sfida sarà quella di accompagnare la smobilitazione ucraina con la creazione di una forza di supporto europea. “Al momento ci sono circa 700mila soldati dell’esercito ucraino. Queste unità andranno smobilitate dopo la guerra”, ha spiegato Gustav Gressel, docente della National defence academy di Vienna. La creazione di tale forza di sicurezza, tuttavia, “avrà un costo in termini di capacità di deterrenza europea”.
Simonas Šatūnas, capo di gabinetto del commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, ha ricordato che la Commissione, nel presentare il piano Readiness 2030 e il Libro bianco sulla Difesa, “ha agito rapidamente”, mentre gli Stati, rappresentati nel Consiglio e nel Parlamento “stanno ancora discutendo”. Tuttavia qualcosa sta cambiando. Come lo stesso Šatūnas ha sottolineato, con la sua invasione dell’Ucraina “Putin ha svegliato l’Europa”.
Pace attraverso la forza. Come
Benché lo slogan “Peace through strength” sia stato coniato dall’amministrazione repubblicana di Donald Trump, il suo significato profondo dovrebbe suonare come un monito anche per gli europei. Come ricordato da Teresa Coratella, vice-direttrice dell’ufficio di Roma dell’Ecfr, è stato lo stesso ministro della Difesa Crosetto ad ammettere che “siamo in guerra”. Una guerra non guerreggiata né dichiarata, ma nondimeno reale. Per questo il rafforzamento della base industriale della difesa europea è ormai una top priority nelle discussioni che si tengono a Bruxelles. Tuttavia, secondo Mustafa Nayyem, capo delle relazioni istituzionali di Gtx Logistics e già vice ministro delle Infrastrutture ucraino, la distanza tra l’approccio europeo e quello russo è ancora troppo ampia. “Per l’Europa, l’industria della difesa è solo una questione di mercato, non parte di una politica di sicurezza”, ha rilevato. Al contrario, “In Russia l’industria della difesa è parte stessa del sistema politico”. Nayyem, forte della sua esperienza diretta in uno scenario di conflitto, ha avvertito che non sarà lavorando a nuove regolamentazioni che l’Europa riuscirà a rendersi sicura. In un momento in cui bisognerebbe abbracciare un cambio di paradigma, “(noi europei, ndr.) stiamo ancora giocando con i videogiochi e la burocrazia”.
Per Enrico Della Gatta, vicepresidente della divisione Geopolitics di Fincantieri, l’Europa deve definire una direzione strategica chiara e condivisa. “Il dividendo della pace è finito. L’Europa non era preparata ad affrontare una guerra sul continente”, ha detto, invitando però a fare attenzione alle opinioni pubbliche. “I Paesi dell’Europa meridionale non sono pronti”. Secondo Della Gatta bisognerebbe iniziare dal modo in cui si discute delle spese militari, ad esempio sottolineandone la funzione di “investimenti per la Difesa”.
A tal proposito, Ryan Benitez, responsabile commerciale di Diana (l’agenzia per l’innovazione e il dual use della Nato), ha descritto il ruolo crescente del capitale privato nella sicurezza euro-atlantica. “Gli investitori privati si stanno già organizzando autonomamente in network di collaborazione”, ha segnalato. Pertanto Diana, “che ha il mandato di cooperare con il capitale privato”, può giocare un ruolo importante nella messa a sistema di queste risorse per “riunirli e valorizzarli”.
Prepararsi all’impensabile
Per un’Europa ormai disabituata a prepararsi in anticipo alle crisi, è necessario riscoprire la mentalità della prevenzione strategica. Secondo Jana Kobzova, co-direttrice dello European security programme dell’Ecfr, “L’Europa deve chiedersi cosa si troverà di fronte. Dobbiamo cominciare a pensare l’impensabile”. Si rende ormai necessario prendere in esame ogni tipo di scenario futuro se si vuole sperare di sapere mettere in campo una risposta rapida ed efficace in caso di necessità. Perché ciò sia possibile, decisori e pianificatori devono porsi più domande, anche se scomode, per prepararsi a ogni evenienza. Un esempio su tutti, quello delle comunicazioni strategiche. “Abbiamo i mezzi per comunicare se i nostri satelliti venissero disattivati?”.
Questo tipo di mentalità è invece in corso di acquisizione in Germania, come raccontato da Jana Puglierin, direttrice dell’ufficio Ecfr di Berlino. “C’è un nuovo senso di responsabilità a Berlino. Raggiungeremo il 3,5% del Pil per la difesa entro il 2029, e non è una promessa vuota”. Tra gli esempi di questa svolta, il ritorno della discussione sulla possibile reintroduzione della leva e sull’importanza di rendere la società più consapevole. “L’esempio finlandese è utile per capire come costruire una società resiliente, ma le ricerche dimostrano che serve almeno una generazione”.