Skip to main content

Quelle crepe nell’ala d’acciaio di Mosca. Report Rusi sulla supply chain di Sukhoi

Dietro l’immagine di efficienza proiettata dal Cremlino, la produzione dei caccia Sukhoi mostra crepe profonde, da una filiera ancora legata a tecnologie e materiali occidentali, a una burocrazia industriale lenta e a una generazione di ingegneri in fuga. Cosa c’è scritto nel report Rusi

La componente aeronautica è stata una delle punte di diamante nell’apparato industriale-militare russo sin dai tempi dell’Unione Sovietica; e tra i vari marchi che, prima autonomamente e in seguito sotto l’etichetta della partecipata statale Obyedinyonnaya Aviastroitelnaya Korporatsiya (Oak), hanno permesso questo successo spicca senza dubbio alcuno Sukhoi, ancora oggi produttrice di alcuni dei principali modelli di velivoli impiegati con differenti modalità dalle forze aerospaziali (Vks) russe, ed anche esportati con discreto successo all’estero, anche grazie ai prezzi relativamente bassi. Tuttavia, negli ultimi anni questo vantaggio relativo rispetto ad un’inferiore qualità dei velivoli rispetto alle controparti cinesi ed occidentali, soprattutto a causa delle sanzioni imposte in seguito all’inizio del conflitto in Ucraina. Ma la questione non si limita al prezzo di produzione.

Un report firmato da Nikolay Staykov e Jack Watling per il Royal United Services Institute evidenzia come la supply chain di Sukhoi sia estremamente dipendente dalle forniture estere (e in particolare occidentali), e che riesca a portare avanti un processo di produzione (a ritmi ridotti) solo grazie all’evasione delle stesse tramite triangolazione o altre metodologie. Ma andare a colpire queste debolezze specifiche con misure chirurgiche potrebbe permettere ai governi occidentali di mettere seriamente in ginocchio la spina dorsale della produzione di Sukhoi, oltre che probabilmente dell’intera catena produttiva aerea di Mosca.

Ad esempio, colpendo la fornitura di componente altamente specializzati come leghe di titanio e altri metalli critici, elettronica ad alta frequenza, macchine utensili Cnc e strumenti di misura di precisione, la cui assenza bloccherebbe intere catene di montaggio sabotando processi di trattamento specialistico come l’Hip (hot isostatic pressing). Queste componenti sono infatti difficilmente sostituibili: le alternative domestiche o cinesi non sempre rispettano gli standard richiesti dall’aviazione militare e richiedono iter lunghi e burocratici di qualificazione che rallentano ulteriormente la catena produttiva. E dove la sostituzione tecnica è riuscita, il costo in tempo e qualità rimane alto. Ma c’è anche un problema che riguarda la dimensione umana. I centri di ricerca e i bureau progettuali impiegano in larga parte una forza lavoro anziana e male retribuita mentre i giovani cervelli guardano verso l’estero o verso il settore civile. Una dinamica che impatta la capacità innovativa e di manutenzione a lungo termine.

Come sfruttare queste vulnerabilità strutturali? Gli autori suggeriscono di estendere e rafforzare il regime sanzionatorio non solo alle aziende di primo livello ma soprattutto ai fornitori di secondo e terzo livello, spesso sfuggiti ai controlli perché formalmente civili o registrati in Paesi terzi. Accanto a questo, viene sottolineata la crucialità del coordinare la pressione economica con le operazioni ucraine di deep strike, che negli ultimi mesi hanno colpito diversi nodi industriali, per impedire alla Russia di sostituire rapidamente i macchinari distrutti o danneggiati. Per quel che riguarda il fattore umano, favorire l’emigrazione di tecnici e ingegneri russi sottraendo al Cremlino capitale umano e know-how in un settore già segnato dall’invecchiamento della forza lavoro rappresenta una soluzione ideale. Se impiegati assieme in modo corretto, questi strumenti potrebbero infliggere un duro colpo alla produzione aeronautica del Cremlino.


×

Iscriviti alla newsletter