Quando sono nate, il requisito dell’indipendenza era il dogma esclusivo della Autorità. Oggi, nella governance multilivello e nel mercato europeo e globale, privati e PA hanno sempre più bisogno di semplificazione e collaborazione perché controllare e punire costituiscono l’extrema ratio, la priorità è prevenire i problemi come dimostrano i casi europei Digital omnibus regulation e Corporate due diligence (CS3D). L’intervento di Alessandro Sterpa
Sotto la categoria delle “autorità amministrative indipendenti” si trovano enti tra loro molto diversi per assetto organizzativo, funzioni e competenze, ma alcune questioni li accomunano all’interno di un processo di cambiamento che forse merita un loro ripensamento.
Molte furono istituite negli ultimi anni del secolo scorso per occupare uno spazio di esercizio del potere pubblico al posto dell’amministrazione sottoposta all’indirizzo politico; vi era la pretesa che fossero “indipendenti”, per l’appunto, dalla politica.
Ciò accadeva in una fase in cui la politica era fortemente delegittimata e molte funzioni che lo stato esercitava direttamente in economia, attraverso le proprie imprese e la regolazione giuridica, stavano divenendo – con le privatizzazioni e le liberalizzazioni – appannaggio del libero mercato; così, si diceva giustamente, serviva un soggetto terzo in grado di garantire autorevolezza e forza di intervento senza condizionamenti esterni in un contesto fatto spesso anche di norme tecniche.
Cosa è successo in questi decenni? I soggetti privati – che (con le pubbliche amministrazioni) sono i principali destinatari delle decisioni delle autorità indipendenti – operano in un crescente contesto di concorrenza europea.
Da una gara tra le “mura di casa” si è passati ad una battaglia globale tale da rendere ogni misura, ogni costo organizzativo e ogni adempimento che grava sulle imprese anche un fattore di maggiore o minore competitività.
Sia ben chiaro, con ciò non si vuol dire che non debbano incombere sulle aziende oneri di accountability, ma prendere atto che gli adempimenti vigilati e controllati dal potere pubblico sono cresciuti in modo davvero significativo nel tempo per proteggere sempre più valori e principi.
Attraverso le autorità pubbliche e alcune di quelle indipendenti passano importanti e costosi oneri che si impongono a privati e pubbliche amministrazioni per la tutela della privacy, per la difesa del perimetro di sicurezza nazionale, per la sicurezza del lavoro, per il controllo della filiera produttiva, per la protezione dell’ambiente, per l’antiriciclaggio, per gli appalti e contratti pubblici, per gli standard di mercato, per la tutela dei consumatori e la garanzia dei servizi pubblici, nonché per media, informazione, comunicazione e impiego degli algoritmi.
Il tutto con una crescente rilevanza – stante il ruolo del mercato unico – delle norme dell’Unione europea che definiscono per tutti gli Stati membri molta parte degli obblighi citati.
Dobbiamo chiederci: con una crescita così forte del numero di soggetti istituzionali, delle materie interessate e dei settori coinvolti, con la sempre maggiore rilevanza anche finanziaria ed economica delle decisioni delle autorità pubbliche, con i sempre più stringenti adempimenti direttamente ricadenti sulle imprese e anche sulle pubbliche amministrazioni, questi soggetti istituzionali possono funzionare ancora con il modello iniziale?
La risposta non è facile, ma si deve ragionare sul rapporto tra organizzazione e funzioni di un organo da un lato e contesto in cui opera dall’altro, altrimenti si perde il senso profondo delle istituzioni.
Il contesto conta e da quello non si può essere indipendenti per usare un gioco di parole.
D’altronde nel secolo scorso le nostre autorità furono istituite agli albori della concorrenza in Europa per puntellare la libertà di mercato e lasciarla sviluppare. Nel rinnovato contesto attuale appare invece necessario aiutare e sostenere imprese e PA a far funzionare bene la competitività nel mercato
regolato, rafforzando la logica collaborativa delle autorità, la dove è già presente, e instillandola con più forza dove ancora non è – per diritto, prima che per approccio – operativa.
Sì, perché se i compiti di una autorità indipendente crescono per ampiezza e impatto delle due l’una: o quell’autorità torna organo sotto l’indirizzo politico oppure vira verso una maggiore capacità di interlocuzione con i soggetti istituzionali pubblici e privati, concorrendo alla collaborativa definizione della nostra sempre più complessa governance multilivello.
D’altronde i segnali in questo senso sono molteplici e riguardano sia l’atteggiamento in generale delle amministrazioni pubbliche che quello delle Autorità indipendenti in particolare, sia la mutazione in progress del quadro regolatorio divenuto molto gravoso per imprese e PA.
Basti pensare all’approccio collaborativo dell’Agenzia delle Entrate, piuttosto che al crescente ruolo di collaborazione della Corte dei Conti o ai modelli di verifica delle spese del PNRR, solo per citare alcuni esempi.
Negli ultimi anni – ancora – in Anac è cresciuta l’attenzione alle forme di collaborazione, come dimostrano il precontenzioso, la vigilanza collaborativa e le attività ispettive con forte vocazione alla collaborazione per conoscere meglio gli enti pubblici e supportarli nel più ampio campo del rafforzamento degli strumenti di prevenzione.
Gli stessi regolatori politici, da parte loro, sia nazionali che europei, hanno compreso i rischi da eccesso di oneri e hanno più volte adottato misure di razionalizzazione, anche grazie all’impiego della tecnologia digitale, delle banche dati e degli algoritmi.
Non a caso il legislatore europeo stesso ha rafforzato la logica collaborativa ed ha percorso la strada della riduzione degli oneri sulle aziende: si pensi alla discussione attuale sul Digital omnibus per ripensare il “dogma della privacy” o, ancora, al pacchetto europeo per la modifica della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D) relativamente agli oneri sulle aziende per il controllo della filiera, oltre alle ipotesi di modifica del rigido regolamento sull’intelligenza artificiale.
La sostenibilità degli adempimenti per imprese e PA passa in primis per una loro razionalizzazione e per la riduzione a quelli davvero necessari, ma anche per la capacità del sistema amministrativo di aiutare collaborando ad alleggerire i costi – strutturali e sanzionatori – di attuazione che gravano su imprese e PA.
Altrimenti il rischio è che i soggetti destinatari delle misure, per sopravvivere o per esasperazione, eludano le norme e il pubblico potere si riduca a rincorrerli senza ottenere nulla. Fino all’assurdo, addirittura, di raggiungere e sanzionare chi ha smesso di correre perché ormai espulso dal mercato.
Non riuscendo più – in questo modo – neppure a trovare le risorse finanziarie per poter sostenere i costi dell’apparato pubblico e dei diritti che ben appaiono più concretamente perseguibili con la logica della leale collaborazione in una realtà dove il potere pubblico deve convivere con la forza dell’autonomia dei soggetti privati e delle altre diverse amministrazioni, siano esse indipendenti o meno.















