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Tra storia e fantascienza, l’umana convivenza è una questione politica

Di Michele Gerace

Pubblichiamo un estratto dal libro di Michele Gerace dal titolo “Qualcosa che sfiora l’utopia” (Jouvence): “Il politicamente corretto è una subdola piaga per la società. La categorizza, la polarizza, l’appiattisce e la spacca, in nome di diritti e libertà che, di fatto, nega. Dell’idea di un’inclusione che è escludente”

La serie Apple TV+ Fondazione basata sul Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov potrebbe aiutare a capirci. Se dovessimo rappresentare il diagramma di flusso che più rappresenta la nostra emancipazione tra storia e fantascienza sarebbe il seguente. Idealismo, psicostoria, necessità, indeterminatezza, sistema, legittimazione, consenso, ordine e libertà. Legge di convivenza, politica, questione culturale e sociale, potere costituente. La psicostoria è il derivato fantascientifico della scienza dello spirito di Hegel che, a sua volta, deriva dal parallelismo valido per la biologia come per la società tra tradizione e scienza che Kant ha giustificato accordando i fatti di cui è possibile fare esperienza oggettivamente ai fatti intellegibili, dei quali è possibile fare esperienza per altra via.

Linguaggio, linguaggio informatico, calcolo matematico, codice e società si rapportano in modo nuovo. Illudono di rendere conoscibile a priori ciò che non lo è non lo potrebbe essere. Sembrano avverare la scienza statistica psicostorica che l’Enciclopedia Galattica di Isaac Asimov definisce “come quella branca che studia le reazioni di un agglomerato umano a determinati stimoli sociali ed economici” che in altre parole racchiude la pretesa degli idealisti di conoscere a priori la storia estesa all’economia, alla società. È una caricatura della scienza. Scientismo, dal quale deriva l’anonimato della responsabilità, la scienza rinnegata, l’opposto che con il nome di scienza, tra natura e spirito, è oscillazione tra “la perdita del centro” con cui lo storico dell’arte Hans Sedlmayr titola un suo lavoro (vd. H. Sedlmayr, Perdita del centro Le arti figurative del 19° e 20° secolo come sintomo e simbolo di un’epoca, Rusconi Libri), la ricerca di un “centro di gravità permanente” cantato da Franco Battiato e l’instabilità delle forze alla costante ricerca di equilibrio nota come legge naturale di convivenza. Presuppone conoscenza, presenza a noi stessi, passato, futuro, presente, coscienza, legittimazione, dunque, responsabilità.

Anche il primato della ragione pratica su quella pura non risolve l’ambiguità che per il rigoroso ed eclettico fisico della materia Giuseppe Caglioti (vd. G. Caglioti, L. Cocchiarella e T. V. Tchouvileva, Odi et Amo: dalle ambiguità percettive al pensiero quantistico, Mimesis) è un valore culturale ed esistenziale del nostro essere umani, causalmente liberi, tra esperienza e sapere, logosepisteme e doxa. Lo spirito di Hari Seldon che Isaac Asimov rende manifesto nel corso della psicostoria è lo spirito che gli idealisti hanno oggettivato nel diritto e nello Stato a tal punto che nel grande libro della storia universale noi stessi siamo diventati poco più che irrilevanti paragrafi, errori di punteggiatura (questo ci ha salvato e ci salverà come esseri umani), il posterius di una ragione di stato divenuta un prius totale, totalizzante, aberrante che ci ha ridotti a meno che cose, oggetti, di valore variabile a seconda della provenienza, del colore, del credo, del pensiero e dell’orientamento.

Con l’inversione del prius, che è e deve essere la persona, con il posterius che è lo Stato, la cui ragione è e deve essere l’umanità, abbiamo soppresso la legge naturale di convivenza, abbiamo rinnegato noi stessi. Se riacquistiamo consapevolezza, riprendiamo coscienza, possiamo rigenerare la nostra convivenza tornando a regolarla con una legge che vada oltre quella di natura e che, al contempo, sia più che altro naturale, in base alla quale ristabilirci, rigenerare il nostro modo di stare al mondo. Abbrutito per il momento da una pacificazione che è tutt’altro che pacifica. Inquietante per l’assenza di una inquietudine che dovremmo avvertire mentre accettiamo l’idea di procedere inerziali, senza farci più caso, senza confronto, senza stimoli, senza la crescita che origina dal conflitto che possiamo definire confronto per evitare di offendere anime che, per maniera, si dicono sensibili e invero sono solo suscettibili, potenzialmente offese da tutto e da tutti, ineleganti vestali del politicamente corretto (vd. L. Ricolfi e P. Mastrocola, Libera parola in libero Stato, in “la Ragione”), insensibili perché devitalizzate.

Il politicamente corretto e la sua esasperazione che la cancel culture impone in una forma di “colonizzazione ideologica” che lo stesso Papa Francesco ha condannato con inequivoca chiarezza: nel discorso agli Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede ha affermato che “in nome della protezione delle diversità, si finisce per cancellare il senso di ogni identità, con il rischio di far tacere le posizioni che difendono un’idea rispettosa ed equilibrata delle varie sensibilità”. Anche dalla Sorbona, qualche giorno prima, l’università e il governo di Parigi hanno battuto un colpo richiamando l’attenzione sulla portata regressiva della cancel culture sulla cultura e sulla civiltà umanistica.

Il politicamente corretto è una subdola piaga per la società. La categorizza, la polarizza, l’appiattisce e la spacca, in nome di diritti e libertà che, di fatto, nega. Dell’idea di un’inclusione che è escludente. Nessuna libertà, nessuna creatività, solo conservazione ristagnante e mortifera per la società. Colonizzati ideologicamente da supposti dogmi decolonialisti, infeudati da un pensiero debole, debolissimo con forti ed arroganti pretese di unicità, rischiamo di appiattirci e dividerci. Abbrutimento, inerzia e rinuncia alla libertà. Caro lei, un piccolo omaggio al grande Totò, è importante intenderci sul significato che attribuiamo alle parole “conflitto” e “pace”. Ne va della nostra libertà, dell’idea che abbiamo dell’unità e della diversità, della dignità e del rispetto, dell’inclusione e della coesione, della democrazia come modo di concepire ed organizzare legittimazione, consenso, potere e responsabilità, del concreto esercizio di cittadinanza. Sono sufficienti queste ragioni perché nessuno possa sentirsi non chiamato in causa.



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