“Giovanni Agnelli è stata una personalità assurta a simbolo dell’imprenditoria italiana negli anni della grande crescita economica e sociale del nostro Paese, in una fase di distensione assicurata dalle istituzioni multilaterali e in particolare dal rafforzamento di quelle europee e dal legame occidentale. Nel ventesimo anniversario della sua morte, il ricordo della sua autorevolezza, con l’azione che seppe esercitare sulle classi dirigenti, sull’intera società, con la sua influenza nel contesto internazionale, sollecita tutti a un confronto esigente”.
Queste le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un intervento su Repubblica.
Un ricordo più intimo invece lo ha dato Jas Gawronski, storica firma della Stampa e amico dell’Avvocato. “Lo vidi per la prima volta quando avevo vent’anni, era il 1957. Mi invitò a un party a Sestriere. Lo incuriosiva che vivessi in Polonia perché era affascinato dai comunisti. Li riteneva uomini di un’altra categoria: spietati. Ed era interessato alla durezza della vita, alla sofferenza delle persone”. Aldo Cazzullo, nell’intervistarlo sul Corriere, prende in mano l’autobiografia di Agnelli, scritta con il giornalista del New York Times Roger Cohen ma mai pubblicata. “Già nella prima pagina c’è una rivelazione: avrebbe dovuto esserci anche Gianni accanto a suo padre Edoardo, sull’idrovolante pilotato dall’asso Ferrari. Invece il papà gli ordinò di restare a terra. E morì nell’ammaraggio di fronte a Genova, colpito alla testa dall’elica”. Parlando del padre, svela anche che non amava il fascismo, ma godette dei privilegi del regime. “Ha prevalso la riservatezza e alla fine il libro non uscì mai”.
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