Conversazione con il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psichiatria Clinica e d’Urgenza del Policlinico Gemelli Gabriele Sani: “Continuiamo a rilevare tra i giovani un aumento dell’ansia, della chiusura sociale e dell’isolamento, dei sintomi depressivi e dell’incapacità a gestire lo stress”. La priorità per fronteggiare l’emergenza in corso? “Servono 10.000 operatori in più e un investimento per i prossimi anni di circa 2 miliardi”
Inutile girarci tanto intorno: il Covid-19 ha lasciato un segno profondissimo sulla società, sulla politica, sull’economia e su ognuno di noi. Un terremoto le cui scosse di assestamento si continuano a percepire nitide ancora oggi che sono passati ormai tre anni dall’inizio dell’emergenza. Correva il 29 gennaio del 2020 quando i due coniugi cinesi furono ricoverati allo Spallanzani di Roma: l’inizio di un incubo che in alcuni casi ha determinato anche pesanti conseguenze psicologiche sulle persone, come ha sottolineato in questa intervista a Formiche.net il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psichiatria Clinica e d’Urgenza del Policlinico Gemelli Gabriele Sani.
“La pandemia è stata caratterizzata da una pluralità di elementi che hanno contributo a renderne gli effetti ancor più profondi”, ha affermato in apertura di conversazione Sani, che insegna anche Psichiatria presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: “Innanzitutto, è stata assolutamente imprevedibile: se nel 2019 ci avessero detto che l’anno successivo sarebbe accaduto un evento cataclismatico di quel tipo, nessuno avrebbe potuto crederci: avremmo pensato piuttosto alla previsione di qualche romanzo distopico di fantascienza”.
In secondo luogo, va menzionata la rapidità con cui questa emergenza si è svolta: “Nel giro di pochi giorni siamo passati da uno stile di vita normale al lockdown e a tutte le restrizioni che ne sono derivate, in Italia e nel mondo”. E ancora – ha proseguito lo psichiatra – “lo sconvolgimento dei rapporti sociali, l’obbligo di rimanere chiusi a casa, la distanza dagli altri, l’impossibilità di avere relazioni anche semplici e consuetudinarie”. Senza dimenticare il sentimento di paura con cui siamo stati costretti a convivere soprattutto nei mesi più duri della pandemia: “Il timore di morire e di contagiare gli altri, a partire dai più deboli”.
Tutti questi fattori hanno lasciato strascichi pesantissimi e “contribuito a mettere a dura prova la stabilità psichica delle persone”. Insomma – ha evidenziato Sani – si è venuta a determinare “una vera e propria emergenza di salute mentale, in particolare nelle fasce di popolazione più fragili. E cioè, gli anziani e gli adolescenti”.
Per questi ultimi in particolare l’onda lunga di quella crisi non sarà facile da superare: “Continuiamo a rilevare tra i giovani un aumento dell’ansia, della chiusura sociale e dell’isolamento, dei sintomi depressivi e dell’incapacità a gestire lo stress”. E poi purtroppo, come emerge anche dai dati degli ingressi nei pronto soccorso degli ospedali italiani, si registra “un progressivo e sensibile incremento dei gesti autolesivi di cui gli adolescenti si rendono protagonisti: basti pensare che dalla pandemia in poi questi numeri sono arrivati addirittura a triplicarsi”.
Non è un caso che, secondo la ricerca dal titolo “Generazione Post Pandemia” condotta dal Censis nei mesi scorsi, il 45,5% dei giovani dichiari di voler trascorrere a casa più tempo possibile. Il 47,9%, invece, ha sviluppato una sorta di agorafobia e la paura a frequentare locali e luoghi affollati, il 46,9% afferma di sentirsi fragile e il 31,8% solo, quota che sale al 39,4% tra i giovanissimi. Ma non è finita qui: il 44,6% degli under 37 (49,4% tra chi ha tra i 18 e i 25 anni) dichiara che durante l’emergenza sanitaria ha avuto problemi psicologici e di aver sofferto di ansia e depressione mentre l’81% dei presidi delle scuole secondarie ritiene che tra gli studenti siano sempre più diffuse forme di depressione e di disagio esistenziale, rese più gravi dalla pandemia.
In questo senso quale messaggio si può inviare ai giovani per cercare di dargli un supporto concreto? “Il mio consiglio è di cercare di avere fiducia nel mondo degli adulti, anche se non sempre è così semplice”, ha risposto Sani, che poi è andato avanti: “E ancora chiedere aiuto, non isolarsi, mantenere uno stile di vita sano e non sottovalutare in alcun modo il consumo, purtroppo sempre più diffuso, di alcol e droghe cosiddette leggere, che poi leggere non sono affatto”. Ogni dipendenza infatti “costituisce un fattore problematico” e “molto spesso risulta anche associata ad altre patologie psichiatriche: di fatto rappresenta sempre un campanello d’allarme, in quanto tale e per la potenziale copresenza di altri disturbi”. La crescita della dipendenza da alcol e droga tra i giovani e i giovanissimi costituisce sempre più un fattore di allarme, soprattutto per coloro che abitano nelle periferie. La stessa ricerca Censis ha evidenziato come il 18,8% abbia aumentato il consumo di alcol e sostanze stupefacenti e il 14,3% abbia subito disturbi del comportamento alimentare.
Un aspetto, quest’ultimo in particolare, che chiama fortemente in causa il ruolo delle famiglie, come il professor Sani ha sottolineato nel saggio dal titolo “Adolescenti e disturbi dell’umore. Come possiamo aiutarli” (edito da Il Mulino): “Devono stare vicino ai giovani, secondo i loro tempi e secondo i loro ritmi sociali: siamo noi adulti che dobbiamo, per quanto possibile, modellare i nostri atteggiamenti sulla base delle loro esigenze e non viceversa”.
A questo riguardo, Sani è convinto che non si possa gestire il processo di apertura degli adolescenti in modo meccanico: “Dobbiamo rimanergli vicini il più possibile, per essere pronti ad accogliere le loro eventuali richieste di aiuto, che non sempre peraltro sono verbali”. A volte possono essere comportamentali, altre vengo formulate attraverso il silenzio, altre ancora con la chiusura sociale: “Ma se siamo presenti e attenti nell’osservarne i comportamenti, saremo più pronti a comprendere le loro richieste di sostegno e a intervenire”.
E poi non bisogna vergognarsi quando si capisce che esiste un problema, “anzi occorre abbattere lo stigma della salute mentale che costituisce troppo spesso una barriera in grado di bloccare ogni percorso di cura e di sostegno”. D’altro canto, non si deve pensare di potersi sostituire allo psichiatra: “Lo dico ai genitori dei giovani, ma anche agli altri adulti che trascorrono con loro molto tempo, come gli insegnanti o gli allenatori sportivi”.
Ma quali sono i segni che possono far nascere l’idea che un adolescente abbia un disturbo mentale di qualche tipo? “Il più evidente è il grande cambiamento nelle abitudini di vita. Ad esempio, ragazzi che improvvisamente non escono più o che non praticano più attività sportiva”. E ancora, peggioramento repentino del rendimento scolastico, irritabilità eccessiva, esagerate perdite di peso o ingrassamenti oltre misura: “Tutti questi sono segnali che devono essere colti e portati allo specialista, lo ripeto, senza vergogna”.
Problematiche che, ad avviso del professor Sani (e non solo), richiedono un intervento deciso e senza indugi da parte dei policy makers: “Non posso che associarmi a quanto hanno richiesto alcune settimane fa circa 90 colleghi direttori dei Dipartimenti di salute mentale con una lettera aperta al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con la quale hanno chiesto esplicitamente 10.000 operatori in più in questo campo e un investimento per i prossimi anni di circa 2 miliardi”.
Non si tratta di una provocazione, ma, secondo gli specialisti, è esattamente quello che serve: “Non vogliamo gridare all’allarme ma varare riforme strutturali che permettano di non vivere più una crisi emergenziale di questo tipo”. Che tra l’altro, magra consolazione, era stata anche in parte anche prevista dagli psichiatri italiani: “Lo avevamo detto che sarebbe finita così: già nella primavera del 2020 avevamo denunciato che, a causa della pandemia, ci sarebbe stato un innalzamento esponenziale di richieste di aiuto nel campo della salute mentale. Ad esempio, avevamo chiesto di far parte del Comitato Tecnico Scientifico del ministero della Salute”. Una proposta che però non è mai stata accolta.
Ed è proprio in quest’ottica di sistema che Sani ha evidenziato i suoi dubbi sulla misura del cosiddetto bonus psicologico che l’ultima legge di bilancio ha esteso e rafforzato: “Come Servizio sanitario nazionale preferiremmo che si facessero riforme strutturali mentre la distribuzione di soldi una tantum non va in quella direzione. Vorremo che le risorse fossero destinate in maniera continua al miglioramento dei servizi pubblici territoriali e ospedalieri per rafforzare il nostro sistema in tema di salute mentale”.
E per gli anziani, in assoluto i più colpiti dalla malattia? “Oltre all’isolamento imposto dal Covid-19, hanno dovuto confrontarsi anche con altre problematiche rilevanti, di cui la prima è la polimorbosità che li ha resi ancora più vulnerabili dal punto di vista fisico e impauriti sotto il profilo psicologico”. E poi la scarsa attitudine all’utilizzo della tecnologia che li ha fatti sentire ancora più soli e abbandonati. Anche se la principale discriminante tra anziani e giovani è un’altra: “Mentre i secondi possono interrompere un qualsiasi tipo di attività e poi riprenderla con una certa elasticità, per i primi recuperare un corso della vita normale dopo un’interruzione forzata più o meno lunga non è affatto semplice e scontato”.
Infine, un cenno al fenomeno globale ribattezzato “Great Resignation” o “Big quit”, in virtù del quale sempre più giovani in tutto il mondo, a seguito della pandemia, hanno deciso di licenziarsi per cambiare lavoro o addirittura, più radicalmente, per optare per nuovi e più sostenibili stili di vita: “È in atto qualcosa di profondo nella società occidentale e anche italiana che merita di essere approfondito con attenzione”. Sicuramente gli anni di Covid hanno contribuito a ridisegnare le priorità di moltissime persone e insegnato a tutti noi che si può vivere in modi diversi rispetto a quelli più canonici in cui spesso la società ci incanala: “Personalmente non ritengo che sia negativo, anzi. È un tentativo di evoluzione, non saprei verso dove ma certamente testimonia la volontà di una profonda trasformazione sociale. Tanti giovani hanno sfruttato questa crisi per effettuare cambiamenti rilevanti che probabilmente senza la pandemia non avrebbero avuto il coraggio di innescare”.