La banca più antica del mondo gode finalmente di buona salute e può permettersi di guardare a qualche acquisizione. Per questo, nell’attesa che Unicredit e Banco scoprano le carte, Siena potrebbe decidere di rivolgersi di nuovo al mercato per fare spazio a nuovi soci. E consentire allo Stato di fare un passo indietro
E se alla fine le strade davanti al Monte dei Paschi fossero due e non una? Archiviata la partita nomine, con il ceo Luigi Lovaglio riconfermato alla guida di Rocca Salimbeni e l’avvocato cassazionista Nicola Maione giunto alla presidenza, subentrando a Patrizia Grieco, per la banca più antica del mondo è tempo di tornare a guardare avanti. Il che vuol dire immaginare un proprio futuro senza la presenza dello Stato nel capitale. Ma forse, rivela una fonte ben addentro, con un piano B.
Come noto, messa in cassaforte, lo scorso autunno, la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi sostenuta in larga parte dal Tesoro (1,6 miliardi) oggi ancora azionista al 64%, Siena si sta avvicinando alla scadenza del 2024. Entro il prossimo anno, infatti, l’Europa esigerà il disimpegno di Via XX Settembre, per far posto a nuovi soci, ri-privatizzando la banca. Per questo il governo di Giorgia Meloni, in raccordo con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lavora da settimane all’uscita dello Stato dal capitale.
Nell’attesa di capire se qualche cavaliere bianco (Unicredit? Banco Bpm?), si faccia avanti (dalla Borsa, negli ultimi giorni, sono arrivati nuovi segnali di risiko, soprattutto dopo l’uscita del socio di peso francese, Axa, artefice tra gli altri della riuscita del salvataggio dello scorso novembre), lo scenario per Mps potrebbe cambiare. Attenzione, il punto di caduta rimane sempre il passo indietro del Tesoro. Ma è proprio questo il punto, come?
Una premessa, per capire meglio. Oggi il Monte dei Paschi è una banca più sana di prima: ha chiuso il 2022 con una perdita di 205 milioni di euro, a fronte di profitti per 310 milioni del 2021. Ma l’istituto sarebbe stato in utile se non ci fossero stati i 925 milioni di euro investiti nel piano di incentivi all’esodo che ha coinvolto 4 mila dipendenti. E poi, nel solo quarto trimestre dell’anno la banca ha registrato profitti per 156 milioni di euro, il doppio rispetto alle attese degli analisti.
Su queste basi, racconta una fonte ben addentro al dossier, ecco spiegato un certo zelo dello stesso ceo Lovaglio. Il quale, avrebbe accarezzato l’idea di favorire il disimpegno del Mef, andando così incontro ai desiderata del governo e agli impegni con l’Europa, mediante una via alternativa. E dunque, con i conti più in ordine e in via di risanamento, viene raccontato, Siena potrebbe decidere di andare all’assalto essa stessa di uno o più istituti minori, dando vita a una vera e propria operazione di m&a ma essendo parte attiva. Dunque, non comprata.
A quel punto, individuata la preda, Rocca Salimbeni avrebbe bisogno di reperire nuovo capitale, per sostenere lo sforzo. Ed è lì che, in raccordo con Palazzo Chigi e con Via XX Settembre, lo Stato si fermerebbe, non sottoscrivendo l’aumento e lasciando il posto a nuovi soci. In questo modo Mps prenderebbe due piccioni con una fava: da una parte consentirebbe la diluizione del Tesoro, dall’altra si assicurerebbe nuovi soci e nuovo capitale, con cui comprare un nuovo istituto, rivelano i medesimi ambienti.
Fantafinanza? Forse, anche se gli indizi ci sono. Rispondendo a una domanda di un socio, in vista dell’assemblea di domani, chiamata ad approvare bilancio e nuovo board, Mps fa sapere: dopo aver completato l’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro la banca “presenta una patrimonializzazione tra le più alte del sistema e, grazie alla riduzione dei costi di struttura ed al rafforzamento dell’organizzazione commerciale, è avviata verso il raggiungimento dell’obiettivo previsto dal piano, di generare oltre 700 milioni di euro di utili nel 2024. Tale premessa consentirà a Mps di guardare a tutte le opportunità che si dovessero presentare in chiave di consolidamento del settore bancario italiano”.