Dovrebbe sorgere nei pressi di Portovesme il progetto congiunto tra la multinazionale delle materie prime e un’azienda canadese, Li-Cycle, attiva nel riciclo dell’oro bianco. Un importante hub per la creazione di una filiera circolare di litio – e non solo – nella corsa globale alle batterie, su cui si gioca la vera partita
Il gruppo svizzero minerario e di trading Glencore, attivo nel mercato dei metalli e di recente nuovo partner di Sace, insieme all’azienda di riciclo canadese Li-Cycle (di cui possiede il 10% delle quote azionarie) hanno firmato un accordo per valutare la possibilità di sviluppare, congiuntamente, un sito per il riciclo delle batterie elettriche a Portovesme, in Sardegna. Una regione ritornata al centro dell’attenzione sul tema in seguito ad una scoperta, sensazionalistica, di un deposito di metalli critici lo scorso settembre.
Uno studio definitivo di fattibilità (Dfs) verrà avviato entro due mese dall’annuncio e presumibilmente completato entro il 2024. Il potenziale hub industriale, localizzato nei pressi di un impianto metallurgico di proprietà di Glencore – il complesso conta di una sede inaugurata nel 1929 per la produzione di zinco-piombo e infrastrutture adeguate, incluso l’accesso al porto, ai servizi e ad equipaggiamento e personale qualificato – produrrà materie prime critiche come nickel, cobalto e litio da batterie elettriche a fine vita, utilizzato la tecnologia di recupero di idrometallurgia di proprietà di Li-Cycle.
I due partner hanno in mente di sviluppare il progetto in joint venture, con il 50% delle quote a testa, con Glencore che si impegnerà ad investire circa $200 milioni nell’azienda canadese con un accordo a lungo termine. Una volta completato il Dfs e deciso l’investimento, il progetto verrà avviato con la costruzione del sito che potrebbe entrare in attività commerciale tra la fine del 2026 e l’inizio del 2027.
L’impianto potrà avere una capacità di processazione dei materiali recuperati tra 50 e 70.000 tonnellate all’anno, l’equivalente di circa 36 GWh di batterie al litio (per intenderci, la capacità produttiva di una gigafactory) utilizzate in 600.000 veicoli elettrici (EV). La massa critica per sostenere la produzione verrà fornita attraverso il network di riciclo e recupero di batterie a fine vita e materiali di scarto dalle industrie europee.
Glencore è attiva Marocco, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, paesi in cui ha siglato di recente accordi per l’espansione e la costruzione di impianti di riciclo. A febbraio, la multinazionale ha persino ricevuto un finanziamento dal Dipartimento dell’Energia statunitense (un prestito di 375 milioni di dollari) per finalizzare un impianto di Rochester, vicino a New York, dal costo stimato di 485 milioni.
L’hub di Portovesme potrebbe diventare, una volta operativo, il più grande di tutta Europa. Insieme ai fornitori e partner di Li-Cycle, oltre alla piattaforma di riciclo di Glencore, l’impianto darà una grossa spinta alle ambizioni europee di fare del riciclo un importante fonte di approvvigionamenti di metalli per sostenere la produzione europea, contando su materiali a basse emissioni, chiudendo il ciclo di utilizzo (accorciando la supply chain, che oggi passa necessariamente da Australia, Cile e Cina) e sfruttando la bassa intensità di capitale impiegato nel sito in Sardegna.
L’Italia, dunque, potrebbe attirare un importante investimento in un segmento lungo la filiera che vede già il nostro Paese sviluppare una certa sensibilità, anche a livello politico e decisionale, come ha ricordato Giacomo Vigna in un’intervista su queste colonne, che co-dirige il tavolo interministeriale sulle materie prime critiche in capo a Mimit e Mase. Una soluzione che dovrà necessariamente rientrare in una più ampia mappatura, e strategia, dei fabbisogni nazionali di minerali e semilavorati nell’ottica di posizionarci nelle filiere strategiche per il futuro.
Il Ceo di Glencore, Gary Nagle, ha commentato che le attività di riciclo della multinazionale contribuiscono, in termini di entrate, tra i 200 e i 250 milioni di dollari, su un business complessivo che nel 2022 ha toccato i 34 miliardi per l’azienda. Secondo i calcoli dell’azienda, attiva su più continenti, la crescita del mercato del riciclo di batterie sarà “esponenziale” con gli automakers globali che lanceranno nuovi modelli nei prossimi anni, in risposta alle pressioni dei regolatori (tra cui, l’Unione europea) sulle emissioni del parco auto. Il riciclo delle batterie, inoltre, consentirebbe ai produttori di diminuire la dipendenza dai fornitori esteri, riducendo i rischi sulla supply chain che coprono diversi aspetti, da quelli sociali, ambientali e di governance (Esg). Al momento si stima che solo il 5% delle batterie al litio sia riciclata, mentre non nascerà un vero e proprio mercato entro il 2030 secondo gli analisti di Wood Mackenzie.
L’interesse nel riciclo delle batterie per le materie prime critiche rappresenta un punto nodale della strategia europea che guarda alle potenzialità dell’economia circolare per risolvere il trilemma tra ambizioni climatiche, competitività industriale e autonomia strategica.
Secondo gli obiettivi prefissati dal Critical Raw Materials Act, entro il 2030 l’Ue dovrà essere in grado di assicurare il 15% del consumo annuale da attività di riciclo, oltre al 10% da attività minerarie continentali, 40% per la raffinazione dei minerali in metalli battery grade e non oltre il 65% da forniture estere (evitando un singolo fornitore). Inoltre, con il passaggio del Regolamento europeo sulle batterie lo scorso dicembre, i legislatori europei hanno proposto che le batterie contenute negli EV dovranno prevedere l’utilizzo di materiali riciclati sopra una certa soglia dal 2030, dal 20% per il cobalto, al 10% per il litio e 12% per il nickel.
Secondo uno studio di Transport&Environment, con i giusti incentivi quasi il 10% del cobalto, 7% del nickel e il 6% del litio consumato in Europa entro il 2030 potrebbe provenire da attività di riciclo, oltre alle potenzialità di assicurare un’adeguata produzione di materiali precursori (catodici e anodici) per le celle delle batterie elettriche.
Si tratta comunque di percentuali che rimangono risicate rispetto alla domanda europea di materie prime critiche in allineamento con gli obiettivi del Green Deal: la domanda europea di litio crescerà di 12 volte e di 21 volte rispettivamente nel 2030 e nel 2050, con un pattern simile anche per la grafite. Resterà fondamentale non cullarsi nelle prospettive dell’economia circolare, mentre è in atto un vero e proprio land grabbing per assicurarsi i depositi di litio, nickel, terre rare e grafite più promettenti su scala mondiale.
Una produzione e la competitività stessa dell’industria europea delle batterie che già oggi deve tenere conto di un cambio di paradigma da parte della Cina, che domina la supply chain. Secondo un rapporto di Merics e Rhodium Group, i capitali provenienti dalla Repubblica Popolare hanno targettizzato non più aziende e asset esistenti, ma nuovi investimenti in capacità produttive (greenfield) nel settore delle batterie, contando per circa il 57%. I flussi si sono concentrati su Gran Bretagna, Francia e Germania (i tre principali hub automotive europei) e sono arrivati attraverso produttori cinesi di batterie come CATL, Envision, AESC e SVolt. Secondo il rapporto questa tendenza è spiegabile per questioni di natura commerciale, come la relativa facilità di superare le barriere doganali e ridurre gli oneri logistici, oltre all’opportunità di entrare nel secondo mercato più grande per i veicoli elettrici (dietro alla Cina e davanti agli Usa). Proprio la maggior ritrosia statunitense ad accettare gli investimenti diretti esteri cinesi – oltre agli stretti requisiti per accedere agli incentivi dell’Inflation Reduction Act – fanno dell’Europa un campo da gioco più allettante, considerando anche il gap tecnologico e industriale esistente nel settore delle batterie.