La questione abitativa è una vera e propria questione sociale, che richiede tanta finanza e nuove tipologie di interventi sia da parte dello Stato che dei privati, se si vuole far fronte alle disuguaglianze sociali e se si vuole offrire un contributo in termini di qualità ambientale. La riflessione di Riccardo Pedrizzi
Secondo Eurostat in Italia il costo delle abitazioni è sceso del 4% dal 2010 al 2025, mentre a livello europeo c’è stata una crescita media di oltre il 50%. Contemporaneamente nello stesso periodo gli affitti sono aumentati del 20%. Anche Bankitalia nel primo trimestre del 2025 ha registrato una crescita degli affitti e un calo dei prezzi di vendita. In Europa, circa tre cittadini su dieci, scelgono l’affitto rispetto all’acquisto della casa. Nel 2024 nella Ue, i proprietari di immobili sono quasi il 69%, ma in dieci anni, sono diminuiti del 2,3%, mentre nello stesso periodo la popolazione in locazione è del 31% essendo cresciuta del 5,6% e dello 0,50 solo nel 2024 sul 2023. In Italia gli inquilini restano sotto la media Ue, sfiorando il 25%. Da noi, infatti, sono circa 7,7 milioni le case attualmente destinate alla locazione continuativa, a cui si aggiungono circa 770mila unità residenziali di locazioni brevi.
Nel 2024 i nuovi contratti di locazione in Italia hanno raggiunto 1,31 milioni di unità, il 2% in più rispetto al 2023, a causa principalmente delle difficoltà ad accedere ai mutui per l’acquisto. E si stima che la domanda potenziale di affitto potrà sfiorare i 4 milioni, per soddisfare la crescente domanda abitativa. Per questo si stima che nei prossimi anni saranno necessarie circa 635mila nuove abitazioni, anche attraverso la riqualificazione di immobili già esistenti. Occorreranno perciò investimenti pari a 170 miliardi di euro.
Come si può vedere, si tratta di una vera e propria questione sociale, che richiede tanta finanza e nuove tipologie di interventi sia da parte dello Stato che dei privati, se si vuole far fronte alle disuguaglianze sociali e se si vuole offrire un contributo in termini di qualità ambientale. Ed è evidente che non basterà più la sola leva urbanistica (quote obbligatorie e premialità), né la sola leva fiscale (con l’azzeramento o l’agevolazione di contributi e oneri): ma occorreranno finanziamenti agevolati (come quelli della Bei), l’impiego di capitali come quelli di Cdp e delle fondazioni bancarie e l’intervento pubblico anche con fondi di garanzia. Negli ultimi anni Cdp con un sistema integrato dei fondi, le cooperative, Fondazione Housing Sociale hanno contribuito a creare un nostro modello abitativo che andrebbe incentivato e replicato.
Per poterlo realizzare però occorre un patto sociale tra politica e operatori, facendo entrare il tema “casa” nell’agenda politica come priorità, se non addirittura come un’emergenza da affrontare il più presto possibile con un piano strategico per tutte le fasce della popolazione, sopratutto le più deboli, accessibile a studenti, lavoratori, anziani, famiglie in situazione di disagio abitativo, utilizzando fondi di coesione per efficientare l’investimento di risorse comunitarie e coinvolgere attori non speculativi. Le proposte in campo prevedono, tra le altre, il coinvolgimento di capitali istituzionali proprio per far fronte all’emergenza abitativa, con il varo di un quadro normativo, fiscale e operativo. Nel documento di Confindustria “Soluzioni abitative per i lavoratori”, si auspica, ad esempio, un’azione coordinata tra pubblico e privato con la quale sarà possibile affrontare con efficacia la sfida di un’emergenza per il Paese.
Anche in Europa si sta parlando di un piano casa europeo entro il 2026, ed il nostro piano casa nazionale, varato a fine anno con la legge di bilancio incomincia a prendere forma con i primi dettagli emersi nel giugno scorso nel corso del “V Tavolo casa”, tenutosi presso il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit), sotto la presidenza del ministro Matteo Salvini, che ha illustrato “il programma strategico volto a contrastare il disagio abitativo, rilanciare le politiche abitative e riorganizzare l’offerta esistente per il quale sono stati destinati i primi 660 milioni di euro”.
Gli obiettivi-chiave del Piano Casa Italia includono: riorganizzazione del sistema di social housing e delle Aziende Casa; promozione di modelli innovativi di finanziamento dei progetti di social housing, fondati sulla integrazione tra risorse pubbliche e private; creazione di soluzioni abitative flessibili, fondate sulla commistione di edilizia residenziale e sociale, e integrate nella città; definizione di modelli edilizi di social housing idonei a fornire una risposta alle esigenze di gestione dei bisogni sociali anche da parte del Terzo Settore.
Inoltre sempre nel corso del “Quinto Tavolo casa”, sono stati presentati gli esiti della consultazione sulla revisione del Testo Unico dell’Edilizia. L’obiettivo è semplificare e chiarire le norme edilizie attraverso una legge delega che mira a: integrare la disciplina edilizia e delle costruzioni, in coordinamento con la disciplina dei beni culturali e urbanistica; adeguare il testo unico al riparto di competenze tra Stato e Regioni; semplificare i procedimenti amministrativi anche grazie alla digitalizzazione; riordinare gli interventi edilizi e i relativi procedimenti, tenuto conto del relativo impatto sul territorio; garantire certezza ai tempi di rilascio o formazione dei titoli abilitativi; semplificare le modalità di attestazione dello stato legittimo dell’immobile; sostenere e accompagnare la rigenerazione urbana con semplificazioni e incentivi regolatori.
Alcuni punti fermi già ci sono:
1) confermati i permessi di costruire, Scia e Cila, il loro utilizzo sarà perimetrato in modo puntuale, associandole ai diversi lavori;
2) saranno promosse le autocertificazioni e le asseverazioni;
3) si punterà sul silenzio assenso e sul silenzio devolutivo trasferimento della competenza in caso di silenzio della Pa;
4) si vuole garantire la certezza dei tempi grazie al potenziamento degli sportelli unici per l’edilizia.
Nonostante queste prospettive però alcune associazioni, come Federproprietà (la Federazione che, come noto, rappresenta e tutela circa 400.000 soci tra privati, società, consorzi e condomini, è riconosciuta come associazione ambientalista; ha promosso ed è capofila del Coordinamento unitario dei proprietari immobiliari costituito oltre che da Federproprietà, dalla Confappi, dall’Uppi e dal Movimento per la difesa della casa), che di solito non ha mai preso posizioni contrarie nei confronti del governo: in questa occasione, ha lamentato che “ancora una volta, però, è mancato il necessario spazio per affrontare una questione centrale e potenzialmente risolutiva: la valorizzazione del patrimonio immobiliare dei piccoli e medi proprietari, che in Italia rappresenta oltre 9 milioni di unità abitative oggi non presenti sul mercato locativo, spesso per timori legati alla mancanza di tutele e certezze giuridiche”.
“Abbiamo una risorsa immensa, inutilizzata, che potrebbe risolvere l’emergenza abitativa senza gravare sulla spesa pubblica. Ma la politica continua a ignorarla”, ha denunciato l’avv. Giovanni Bardanzellu, presidente di Federproprietà. “Servono incentivi reali per i proprietari e sostegni mirati per gli inquilini. Solo così potremo liberare milioni di alloggi oggi chiusi per sfiducia, paura o abbandono. È ora che la politica ascolti chi rappresenta la proprietà privata diffusa”, ha aggiunto ancora Bardanzellu. La Federazione sottolinea con forza che qualsiasi riforma del settore edilizio sarà inefficace se continuerà a trascurare il coinvolgimento attivo della proprietà privata, che potrebbe rappresentare una risposta concreta e immediata per famiglie, giovani e categorie fragili in cerca di una casa. Per questo si auspica che il ministro Salvini, del quale si apprezza il lavoro fin qui svolto per affrontare adeguatamente il tema casa, voglia coinvolgere sempre più le associazioni dei proprietari di immobili per portare a soluzione quanto prima quella che è diventata nel nostro Paese una vera e propria emergenza abitativa.