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Dalla difesa ai dazi, come cambia l’Occidente. La lettura di Massolo

Dalla partita commerciale fino alla tenuta dell’impegno verso l’Ucraina, l’Europa è chiamata a compiere scelte strategiche non più rimandabili. Le spese militari? Mosca o non Mosca, premunirsi è ineludibile. Non è solo deterrenza. Per difendersi e contare, l’Europa deve profilarsi nel Mediterraneo, in Africa e nei Balcani per arginare espansionismi ostili ed evitare destabilizzazioni pericolose. Un riarmo di necessità. Intervista a Giampiero Massolo, ambasciatore e senior advisor dell’Ispi

Dai vertici internazionali più recenti è emerso un quadro nuovo per l’Occidente. Tra l’assertività americana, le spinte per un riarmo europeo e la difficile costruzione di una difesa comune, l’Europa sta cercando di trovare una risposta alle sfide che bussano alla porta. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore e senior advisor dell’Ispi, Giampiero Massolo, analizzando il futuro della solidarietà atlantica.

Tre recenti appuntamenti internazionali come il G7, il summit dell’Aia e il Consiglio europeo, hanno offerto l’occasione ai leader europei per un esame dei dossier più urgenti e per un confronto con il presidente Usa, Donald Trump. Che Occidente è emerso da queste riunioni?

La successione dei recenti vertici ha ridefinito il concetto di Occidente, chiarito la portata del riarmo europeo, delimitato il ruolo dell’Ue. Per i governi europei si è trattato anzitutto di prendere atto che l’Occidente non esiste più come comunità di valori condivisi. Per Trump, la solidarietà occidentale conta se gli è utile: non ci sono posti a tavola garantiti. Ciascun alleato deve dimostrare il proprio valore aggiunto. I toni tristemente adulatori che hanno accolto il presidente americano a Bruxelles sono lì a dimostrare che per gli europei trattenerlo al loro fianco è ancora imprescindibile. Un Occidente di convenienza.

La partita dei dazi è in piena evoluzione e i contatti serrati tra le sponde dell’Atlantico mostrano la volontà di alcuni interlocutori europei, come il nostro governo, di negoziare e abbassare i toni. Difficile fare previsioni, ma che tipo di evoluzioni prevede?

Per Trump, si tratta di trovare i fondi per finanziare la sua legge di bilancio fatta a colpi di tagli delle tasse. Per lui, a pagare non devono essere gli americani, ma i Paesi stranieri che negli anni hanno lucrato sui loro consistenti surplus con gli Usa. È un’impostazione utilitaristica ma anche ideologica. L’Europa è cauta per evitare danni peggiori. Difficilmente però potremo tornare ad un assetto equilibrato: occorrerà lasciare qualcosa sul campo. I rapporti di forza, velleità a parte, non ci favoriscono.

Proprio al vertice dell’Aia, dopo le numerose pressioni degli Usa, i Paesi europei hanno scelto di impegnarsi per raggiungere il 5% del Pil in spesa militare. Quali sono le ragioni dietro questa decisione?

Questa decisione è stata frutto di una constatazione realistica: il rischio di dover affrontare il disimpegno americano con gli arsenali svuotati e le frontiere sostanzialmente indifese. Non è solo la minaccia di Mosca, sulla quale peraltro non tutti concordano malgrado le prassi russe la avvalorino. Le esigenze sono plurime: logistico-organizzative, per rimediare alla costosa frammentazione delle produzioni europee che ne limita l’efficacia; strategiche, per dare strumenti ad una diplomazia europea finora sterile; politiche, per evitare che gli americani si sgancino prima di una nostra ragionevole autonomia. Mosca o non Mosca, premunirsi è ineludibile. Non è solo deterrenza. Per difendersi e contare, l’Europa deve profilarsi nel Mediterraneo, in Africa e nei Balcani per arginare espansionismi ostili ed evitare destabilizzazioni pericolose. Un riarmo di necessità.

Durante il summit, si è ottenuto di suddividere il 5% di spesa in due parti: il 3,5% destinato alle spese militari e l’1,5% alla sicurezza. Nel nostro Paese sarà necessario aprire un dibattito tra la politica e l’opinione pubblica per far comprendere le ragioni di questo impegno ai cittadini, che faticano ad accettare un aumento di spesa per la Difesa. Cosa ne pensa a riguardo?

Penso che non ci si possa esimere dallo spiegare ai cittadini con chiarezza i rischi che corriamo e le minacce alle quali siamo soggetti. Ciò detto, l’articolazione delle maggiori spese in sede Nato e il loro scaglionamento nel tempo rendono la situazione gestibile senza che si ponga in termini drammatici l’alternativa tra burro e cannoni. Ragione in più comunque perché lo sforzo per accrescere le nostre difese avvenga in un quadro europeo coordinato.

Se la Nato chiede maggiore impegno ai Paesi alleati, Bruxelles sta infatti mettendo in campo diverse iniziative per una Difesa comune, ma non è facile con il quadro attuale. Al di là delle frasi ad effetto, che prospettive vede per la realizzazione di questo obiettivo? E quale sarà la postura del nostro Paese?

Pericoloso illudersi: con le regole attuali dell’unanimità si può fare poco, a parte il coordinamento delle commesse militari, il rafforzamento della base produttiva, la facilitazione – comunque a debito, in attesa degli eurobond – delle spese militari nazionali. La reazione dei nostri maggiori partners europei è pragmatica: andare oltre. Coinvolgere Paesi disponibili anche non membri dell’Ue, prevedere missioni di scopo (oggi l’Ucraina) che facilitano la comunanza di intenti, agire anche senza coperture multilaterali, consolidare il pilastro europeo della Nato con i suoi assetti. Un’Europa del possibile. Forse un giorno si potrà ricondurre tutto nell’Unione. Occorre lavorarci. Ma limitarsi ad invocare l’ortodossia comunitaria significa scegliere l’immobilismo. Può l’Italia ignorare tutto questo? Non è solo un fatto di spesa. Ma di cultura e volontà politica. Non possiamo estraniarci.

È la prima volta che per l’invio di equipaggiamenti militari all’Ucraina (in particolare i missili Patriot), gli Usa chiedano che a rimborsarne il costo siano gli alleati Nato. Abbiamo dato avvio a un nuovo corso, per il supporto all’Ucraina?

Trump si era impegnato a non aumentare ulteriormente le spese in favore dell’Ucraina. Vendere alla Nato e attraverso di essa all’Ucraina è un modo per lui di tenere fede all’impegno. Purché mantenga le forniture…


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