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Con Apply Ai e Ai in Science l’Europa mette carburante all’innovazione. Basterà?

Di Marco Bani

L’Europa sembra pronta ad usare l’Ia e non solo a regolarla. Bruxelles ha rivelato due strategie sull’intelligenza artificiale. L’obiettivo è duplice, portare l’intelligenza artificiale nei settori chiave dell’economia europea per competere con Stati Uniti e Cina e fare dell’Europa, un laboratorio mondiale di ricerca scientifica guidata dall’intelligenza artificiale. La riflessione di Marco Bani

Dopo anni di normative e consultazioni, l’Europa sembra pronta, finalmente, a usare l’Ia, non solo a regolarla. Per questo, Bruxelles ha svelato due nuove strategie gemelle sull’intelligenza artificiale: Apply Ai e Ai in Science.
Sono, di fatto, il secondo atto del “Piano per un continente dell’Ia” annunciato in primavera.

L’Apply Ai Strategy è la parte industriale del piano. L’obiettivo: portare l’intelligenza artificiale nei settori chiave dell’economia europea — sanità, energia, mobilità, manifattura, agrifood, difesa, cultura, comunicazioni e pubblica amministrazione — e nelle Pmi, spesso escluse dalle grandi innovazioni digitali.

Tra le misure previste:
• 1 miliardo di euro di investimenti iniziali;
• nuovi centri di screening con Ia per la sanità;
• sviluppo di modelli di frontiera e agentic Ai per industria e ambiente;
• la creazione di una Apply Ai Alliance, con imprese, università, enti pubblici e società civile;
• la trasformazione dei Digital Innovation Hubs in Experience Centres dedicati all’Ia.

È, a oggi, il tentativo più esplicito di spingere verso un’adozione di massa dell’Ia in Europa. L’obiettivo è ambizioso: far accelerare le imprese, ridurre i tempi di sviluppo e competere ad armi pari con Stati Uniti e Cina.

L’ Ai in Science Strategy è la parte accademica. L’ambizione è fare dell’Europa un laboratorio mondiale di ricerca
scientifica guidata dall’intelligenza artificiale.
Il cuore è Raise (Resource for Ai Science in Europe), un istituto virtuale che coordinerà risorse, dati e infrastrutture di calcolo.

Le misure chiave:
• 58 milioni di euro per reti di dottorati e programmi di eccellenza;
• 600 milioni per potenza computazionale dedicata alla scienza;
• raddoppio degli investimenti in Ia nel programma Horizon Europe, fino a 3 miliardi l’anno;
• supporto alla raccolta e integrazione dei dataset scientifici strategici.

Quindi Apply Ai serve a utilizzare l’Ia, Ai in Science serve a fare scienza con l’Ia.
Due strategie integrate, risorse mirate, governance coordinata.
Sulla carta, tutto perfetto. Ma è davvero così? Riusciremo a ridurre il gap con Usa e Cina?

Le criticità sono molte:
Risorse. Di soldi ce ne sono pochi: solo un miliardo di euro per tutti i settori strategici del piano industriale, riciclando fondi già esistenti.

Più che un piano Marshall, sembra un seed fund, ovvero i primi fondi di una startup.
Quel miliardo, nel mondo dell’Ia, vale quanto il budget per comprare il caffè e gli snack ai dipendenti di OpenAi o la campagna marketing di Microsoft per Copilot.

Eppure, non tutte le risorse devono venire dal pubblico.
Come suggerisce anche il Rapporto Letta, serve un’unione dei capitali europei: solo così i miliardi dei cittadini dell’Ue — che oggi volano oltreoceano — potranno finanziare la nostra innovazione.

Semplificazione. L’elefante nella stanza resta l’Ai Act.
Il rischio è che la sua complessità renda l’innovazione un lusso da Big Tech. Le Pmi, proprio quelle che Apply Ai vuole aiutare, rischiano di restare ai margini, schiacciate da burocrazia e costi di adeguamento.

La Commissione lancerà un tool interattivo per orientarsi tra le norme: utile, certo, ma è un po’ come mettere un Gps in un labirinto. Forse era meglio costruire una strada più dritta.

Autonomia strategica. Il documento lo ammette apertamente: la filiera europea dell’IAa dipende da infrastrutture straniere.
• Il 70% del cloud europeo è controllato da Aws, Microsoft e Google;
• Non esiste ancora un chip europeo competitivo con Nvidia.

Quando Bruxelles parla di “weaponization dello stack Ai”, significa che basta un cambio geopolitico per trovarci improvvisamente senza basi tecnologiche.
Senza puntare a calcolo, cloud, talenti e chip possiamo avere tutte le strategie possibili, ma resteremo sempre vulnerabili.

Dati. Usate l’analogia che volete, ma i dati sono fondamentali per realizzare un’Ia che funziona. A fine ottobre arriverà la Data Union Strategy, per unificare politiche e standard sui dati.
Sulla carta, ottimo. Ma quante volte l’abbiamo sentito? Ogni nuova strategia promette armonizzazione, e finisce tra dataset frammentati e incompleti.

Talenti. I numeri sono deprimenti e lo testimonia proprio l’introduzione dell’Ai in Science Strategy: fino al 2017, i ricercatori europei guidavano per numero di pubblicazioni sull’Ia.

Poi il sorpasso:
• 🇨🇳 Cina oggi ha oltre il 25% delle pubblicazioni globali;
• 🇺🇸 USA il 15%;
• 🇪🇺 UE meno del 5%.

L’Europa resta un faro nella ricerca di base, ma conta solo il 6% degli attori globali e il 3% dei brevetti.
Insomma: formiamo cervelli eccellenti, ma non riusciamo a trattenerli. Non dovrebbe essere una priorità? Soprattutto alla luce di quello che sta succedendo in America con i visti ridotti e il taglio di fondi alla ricerca?

Approccio e tempistiche. La solita malattia europea: la lentezza. Mentre Stati Uniti e Cina sperimentano, falliscono e rilanciano, Bruxelles apre tavoli di lavoro, forum consultivi e roadmap triennali. Il rischio? Arrivare in ritardo anche sul treno dell’Ai applicata. Non per mancanza di idee, ma per assenza di decisioni rapide, risorse concentrate e visione industriale condivisa. Non si può continuare a fare riunioni sul futuro mentre gli altri lo programmano.

Coordinamento con le strategie nazionali. Il dramma ricorrente della politica tecnologica europea: si sogna in grande e si esegue in piccolo.
Si scrivono strategie sintetiche e comunicabili, ma difficili da tradurre in realtà. Ogni nazione ha la sua strategia, i suoi progetti, le sue soluzioni che spesso non si allineano alle strategie europee creando frammentazione, spreco di risorse e incapacità di scalare. Non si riesce nemmeno ad avere delle fusioni transfrontaliere per creare imprese che possano davvero competere globalmente, a parte alcune eccezioni, e quelle che emergono spostano poi i loro uffici in America, dove possono scalare.

Per questo anche qua sarebbe necessario mettere un budget comune tra gli stati, un Pnrr sull’innovazione e la tecnologia, per creare le condizioni di competere davvero con Usa e Cina.
E quindi?
Queste strategie non sono da archiviare: finalmente si parla di Ai-first policy, di integrazione dell’Ia nei processi produttivi, di hub europei per la ricerca e di semplificazione amministrativa.

È un segnale politico forte: l’Europa vuole smettere di fare la guardiana del digitale e diventare protagonista. Per la prima volta Bruxelles non si limita a “mettere regole”, ma prova a mettere carburante all’innovazione, anche se il serbatoio resta mezzo vuoto.

Ma servono scelte coraggiose, che esulano da strategie per una tecnologia precisa. Perché nessun piano sull’intelligenza artificiale, nemmeno il migliore al mondo, funzionerà se non sblocchiamo davvero il progetto di un’Europa unita nei capitali, nella ricerca e nella visione.

Sostenere una area europea dell’educazione, avere un riconoscimento titoli semplice e “università europee”, replicare lo “spirito Cern”, evolvere le partnership pubblico/privato, costruire il “28 Regime” per semplificare la burocrazia, ampliare il mercato unico.

Insomma, la migliore strategia per l’intelligenza artificiale resta la costruzione di un’Europa più integrata, coraggiosa, lungimirante, cooperativa ed efficiente. Solo così l’intero continente potrà competere “nel secolo dell’Ia”.


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