Da agosto, il numero di assetti militari statunitensi nel mar dei Caraibi è cresciuto sensibilmente. Mentre i toni del confronto diplomatico e politico con Caracas non accennano a diminuire, gli Stati Uniti danno sfoggio del loro potere schierando mezzi navali, aerei e anfibi intorno al Venezuela. Una semplice dimostrazione di forza o qualcosa di più?
C’è sempre più metallo nelle acque dei Caraibi, ed è destinato ad aumentare. Nella giornata di venerdì, il segretario alla Difesa Usa, Pete Hegseth, ha ordinato il rischieramento della superportaerei Gerald R. Ford dall’Adriatico verso le acque antistanti il Venezuela. Nel frattempo, il cacciatorpediniere di classe Arleigh Burke USS Gravely ha attraccato a Port of Spain, nello Stato caraibico di Trinidad e Tobago, per una serie di esercitazioni congiunte che coinvolgeranno anche i soldati della 22nd Expeditionary unit del Corpo dei Marine. La Ford – e, eventualmente, i 5 cacciatorpediniere missilistici che compongono il suo gruppo navale – andrà a rinforzare il già discreto dispiegamento militare americano nel mar dei Caraibi, mentre le tensioni sul piano politico con Caracas non accennano a diminuire.
Le tensioni nell’emisfero occidentale sono tornate a salire nell’arco dell’estate, ed è di pochi giorni fa la notizia che vorrebbe la Cia essere stata autorizzata dal presidente Trump a condurre operazioni sotto copertura in Venezuela. L’arrivo della Ford, punta di diamante della flotta portaerei degli Stati Uniti, porterà l’allerta nel teatro a un livello superiore, mai visto in quelle acque dai tempi della Guerra fredda. Secondo il portavoce del Pentagono, “Queste forze rafforzeranno e potenzieranno le capacità già presenti per contrastare il traffico di stupefacenti e indebolire e smantellare le organizzazioni criminali transnazionali”.
Il dispositivo militare Usa nei Caraibi
Nell’attesa dell’arrivo della Ford (che richiederà circa una settimana), il dispiegamento militare statunitense nei Caraibi si presenta già come tra i più complessi e articolati mai osservati in tempi recenti, con circa 17 unità navali di superficie – tra cui una nave d’assalto anfibio (la USS Iwo Jima), tre da trasporto mezzi e unità (le Lpd/Lhd di classe San Antonio), tre cacciatorpediniere classe Arleigh Burke (Jason Dunham, Lassen, Milius), navi logistiche e tre unità di pattugliamento della Guardia Costiera. Sul piano anfibio, il totale delle forze schierate dovrebbe aggirarsi intorno alle 4000 unità del Corpo dei Marine pronte all’azione. In cielo, gli Usa contano più di cinquanta assetti, tra caccia F-35 e F-15, aerei da pattugliamento marittimo P-8 Poseidon, velivoli da trasporto C-130J, Awacs E-3 Sentry, droni MQ-9 Reaper e diversi elicotteri da attacco e trasporto. Finora le operazioni aeree hanno coinvolto principalmente i vetusti Harrier II AV8, mentre adesso, con l’arrivo della Ford e del suo stormo imbarcato (composto in larga parte da F-35B), il dislivello con le forze di Caracas non potrebbe essere più grande.
Le mosse di Caracas
In risposta al crescente dispiegamento statunitense, le Forze Armate venezuelane hanno lanciato una serie di esercitazioni di difesa aerea su larga scala lungo la costa caraibica che hanno coinvolto sistemi S-125 Pechora, batterie Igla-S e radar mobili avanzati. Le manovre hanno simulato scenari di intercettazione aerei e coordinamento tra artiglieria antiaerea, missili a corto e medio raggio e unità di comando e controllo. Secondo fonti locali, l’operazione ha incluso anche il dispiegamento e il lancio, simulato, di migliaia di missili superficie-aria, con particolare attenzione alla protezione delle principali installazioni strategiche e delle rotte marittime vicine. Il governo di Nicolás Maduro ha definito le esercitazioni come “misure preventive per salvaguardare la sovranità del Paese”.
Una dimostrazione di forza o qualcosa di più?
Quello in atto nel mar dei Caraibi è un vero e proprio build-up militare, comprensivo di forze aeree, navali e terrestri. La dotazione di missili Tomahawk (recentemente agli onori della cronaca) permette agli Usa di colpire virtualmente qualsiasi punto del territorio venezuelano, mentre la componente aerea imperniata sui caccia stealth di quinta generazione può valere a Washington la superiorità aerea totale entro poche ore. Da ultimo, la pesante componente anfibia – sia navale sia elicotteristica – permette di contemplare una vasta gamma di operazioni nel Nord del Paese (segnatamente, scali logistici e portuali).
Donald Trump, che ha fatto della dottrina “Peace through strength” l’architrave della propria politica estera, ha deciso di mostrare i muscoli nello storico “cortile di casa” degli Usa. Tuttavia un simile dispiegamento di uomini e mezzi – che, vale la pena di ricordarlo, non costa poco in termini economici – sembra essere già andato oltre la semplice dimostrazione di forza. Mantenere un così alto numero di assetti in stato di prontezza operativa al di fuori del territorio nazionale per un periodo eccessivamente prolungato nuocerebbe sia alla macchina militare americana sia alle tasche di Washington, che continua a trovarsi in shutdown. Arrivati a questo punto, l’ulteriore innalzamento dell’asticella potrebbe sottendere a un tentativo di aprire un tavolo negoziale con Caracas. Se così non dovesse essere, Trump avrà presto tutte le carte in mano per passare all’azione militare. La resa dei conti con Maduro è arrivata?
















