Dietro i toni trionfalistici di Washington e la calma apparente di Pechino, il vertice tra Donald Trump e Xi Jinping all’Apec di Seul ha prodotto più simboli che risultati. Una tregua commerciale utile a entrambi, ma che non cambia la natura strutturale della competizione tra le due potenze. Il commento dell’Ambasciatore Giovanni Castellaneta
Com’è andato davvero l’incontro fra Donald Trump e Xi Jinping? Entrambi i leader sostengono di avere avuto la meglio, in particolare il Presidente Usa che è avvezzo ai toni trionfalistici (“it was an amazing meeting”), e rivendicano i risultati ottenuti. Da una parte, Trump ha accolto la tregua commerciale tra Washington e Pechino come la prova che la minaccia di usare le ‘maniere forti’ nei settori ad alta tecnologia abbia funzionato. Dall’altra, Xi ha fatto vedere come la fermezza mantenuta dalla Cina abbia portato a riaprire un canale commerciale importante con la ripresa, ad esempio, delle importazioni statunitensi di semi di soia cinesi. In realtà, nei fatti è stata solo una tappa di un percorso che non può che essere lento e graduale, parte di un dialogo tra le due principali potenze del pianeta che non possono fare a meno di consultarsi se vogliono conservare una coesistenza pacifica. Del resto, i cinesi sono ben coscienti della loro capacità negoziale, che può fare leva su alcune armi molto efficaci e che derivano dal controllo – pressoché incontrastato – delle supply chains dei microchips a partire dalle terre rare e dalle altre materie prime necessarie per produrli.
Un ruolo molto importante è stato giocato dalla cornice in cui si è svolto l’incontro, ovvero il vertice dell’Apec e il viaggio svolto da Trump nella regione asiatica. Malaysia, Giappone e Corea del Sud sono Paesi molto importanti per gli Stati Uniti nel quadrante orientale, e il rafforzamento dell’alleanza tra gli Usa e queste controparti va considerato un successo importante. In tal proposito, è stata emblematica l’eccezionale comunità di intenti fra Trump e la nuova premier giapponese Sanae Takaichi (prima donna al governo nel Paese del Sol Levante). Al di là di alcune gaffes diplomatiche compiute dal tycoon (come la stretta di mano con l’imperatore Naruhito e la sua scarsa attenzione per il protocollo nei momenti ufficiali della visita), il processo di riarmo messo in atto dal Giappone (che consente di fare un parallelismo con quello che sta facendo la Germania in Europa) è indice di una nuova fase, nella quale gli Usa potranno contare su alleati più forti nella regione nel contrasto geostrategico alla Cina. Un processo che non riguarda peraltro solo gli ‘amici’ tradizionali di Washington (dal Giappone alla Corea, fino all’Australia), ma che si sta allargando anche a Paesi che fino a poco tempo fa gravitavano intorno all’orbita di Pechino (come Vietnam e Laos) ma che ora temono per varie ragioni lo strapotere cinese e vedono di buon occhio la possibilità di approfittare dell’ombrello americano (seppure nell’ottica trumpiana basata su un approccio pragmatico e transazionale).
Insomma, la vera partita di Trump si gioca in Estremo Oriente. Per la Casa Bianca ora l’Europa conta relativamente, mentre sta salendo l’attenzione dedicata al tradizionale ‘cortile di casa’ rappresentato dall’America Latina (non a caso il Presidente ha lasciato il vertice Apec in anticipo per occuparsi del Venezuela e non solo di Halloween). Ma il quadrante Indo-Pacifico è indubbiamente quello più importante per il futuro, dato che è il campo in cui, giocoforza, si svolge la partita con la Cina. Xi Jinping non ha fretta di imporre la leadership cinese a livello globale: l’approccio graduale fortemente improntato allo spirito confuciano fa avanzare Pechino in maniera silenziosa, apparentemente non aggressiva ma comunque inesorabile. A dimostrazione di ciò, il fatto che nel bilaterale Trump-Xi non si sia nemmeno accennato alla questione Taiwan, il tasto più delicato ma sul quale Washington potrebbe essere disposta a ‘chiudere un occhio’ in cambio di concessioni di carattere economico e commerciale. Del resto, è chiaro a tutti che al momento tra Cina e Stati Uniti nessuno è in grado di superare l’altro. I due rivali sono dunque per ora (e forse lo saranno ancora per lungo tempo) costretti ad una ‘tregua armata’, con concessioni reciproche importanti. Vedremo chi la spunterà tra la pazienza e lungimiranza cinese di Xi e l’irruenza da consumato businessman di Trump. Del resto, come diceva Sun Tzu nella sua celeberrima “Arte della guerra”, il generale vero vince la guerra senza combatterla.















