Roma non è solo una capitale europea che innova, ma un laboratorio civile che sceglie di innovare per integrare, per costruire relazioni solidali, per fare dell’inclusione un motore di sviluppo. Una città che non teme la diversità, perché ha imparato che l’insieme è sempre più della somma delle parti. L’intervento di Monica Lucarelli, assessora alle Attività produttive, pari opportunità e attrazione investimenti di Roma Capitale
Lo Smart City Expo World Congress 2025 di Barcellona ha consacrato un cambio di paradigma: le città non vogliono più essere vetrine di prototipi tecnologici, ma modelli completi di trasformazione urbana. Le smart city che si affermano oggi non sono più quelle che installano sensori, ma quelle che integrano soluzioni diffuse e interconnesse: dalla mobilità intelligente alla gestione ambientale, dall’identità digitale all’infrastruttura 5G che collega piazze, servizi e persone.
Gli indici internazionali – come lo Smart City Index dell’Imd – includono ormai parametri legati all’equità, alla governance, al benessere urbano: perché una città è davvero “smart” solo se innova rendendo la vita migliore per tutti. In questa prospettiva, le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, i digital twin, i sistemi di energia distribuita o di mobilità autonoma diventano strumenti, non obiettivi.
Ma la lezione più forte di Barcellona è un’altra: l’innovazione è un atto collettivo. Non esiste smart city che possa isolarsi nel suo cluster tecnologico, né trasformazione urbana senza consenso sociale. L’innovazione funziona solo quando nasce dal basso, dialoga con le periferie, include le fragilità e diventa bene pubblico. Una città che cresce insieme resta in equilibrio: tra efficienza e equità, tra connettività e comunità, tra velocità digitale e lentezza umana. Ed è proprio in questa direzione che Roma ha scelto di muoversi.
È quel filo di visione che ha portato Roma a vincere lo Smart City Award 2025: il principale riconoscimento internazionale dedicato alle città che stanno ridefinendo il modo di intendere l’innovazione pubblica. Il progetto premiato, “Rome: the City is transforming”, racconta una Capitale che non crede in un’idea di smart city costruita solo su algoritmi e sensori, ma in una trasformazione che genera impatto economico, ambientale e soprattutto sociale. Perché non esiste vera innovazione senza sostenibilità, e non esiste sostenibilità senza equità.
A Barcellona non abbiamo portato un semplice elenco di soluzioni tech, ma l’identità politica di una città. L’abbiamo sintetizzata in un acronimo: Amor – The Human Side of Innovation. Una formula che fa della connettività una forma di relazione, dei dati un motore di semplificazione, dell’innovazione un ponte verso nuovi diritti. Roma non rincorre modelli di smartness scarsamente umani: ne propone uno dove la tecnologia si innesta sul capitale civile per creare inclusione e qualità della vita.
I progetti come Roma5G, le nuove piattaforme digitali di Ama e Atac, la Centrale del Traffico realizzata con Almaviva, o il polo di sicurezza urbana sviluppato con Leonardo, rappresentano oggi esempi concreti della strategia digitale di Roma Capitale: iniziative che dimostrano come la tecnologia possa migliorare i servizi pubblici, la mobilità, la sostenibilità ambientale e la sicurezza, mantenendo sempre al centro le persone.
Accanto a questa infrastruttura tecnologica, la Casa delle Tecnologie Emergenti di Roma (Cte) – nata in seno a Roma Capitale nell’ambito dell’Assessorato alle Attività Produttive – ha costruito un vero ecosistema dell’innovazione. È uno spazio in cui amministrazione, università, imprese e cittadini collaborano per sperimentare soluzioni con impatto concreto sulla vita delle persone. Negli ultimi anni, la Cte ha mobilitato oltre 6 milioni di euro per l’innovazione e le competenze, sostenuto startup e PMI con contributi a fondo perduto, coinvolto 35.000 cittadini in percorsi formativi e partecipativi e attivato 25 sperimentazioni nei settori della mobilità, dell’energia, dell’ambiente e del welfare.
Da questo ecosistema stanno nascendo nuove imprese e opportunità: realtà come Bufaga, Lit, LotzArt, Nando, Ristobox e ShoptheLook — nate o cresciute all’interno della CTE — dimostrano che la spinta tecnologica può nascere dalle comunità e diffondersi oltre i confini cittadini, dal foodtech alla mobilità elettrica, dal retail intelligente alla cultura immersiva.
Roma non è solo una capitale europea che innova, ma un laboratorio civile che sceglie di innovare per integrare, per costruire relazioni solidali, per fare dell’inclusione un motore di sviluppo. Una città che non teme la diversità, perché ha imparato che l’insieme è sempre più della somma delle parti.
Il City Award ricevuto a Barcellona non è dunque un riconoscimento tecnologico, ma politico: sancisce la forza di un’amministrazione che governa la tecnologia, la mette al servizio del bene pubblico e intreccia crescita, responsabilità e dignità. È questo il senso profondo della trasformazione che Roma sta vivendo: una città che misura la propria intelligenza non nei dispositivi che installa, ma nella fiducia che riesce a generare.
Essere una smart city oggi significa proprio questo: saper costruire fiducia digitale, quella digital trust di cui abbiamo discusso a Barcellona come nuova frontiera dell’innovazione pubblica. Una fiducia che unisce cittadini e istituzioni, pubblico e privato, innovazione e diritti, e che rende la tecnologia credibile, condivisa e umana. Roma ha intrapreso questo cammino, mettendo al centro le persone come vero motore del cambiamento.
















