L’ondata di attacchi ibridi russi sta spingendo l’Europa verso misure che fino a poco tempo fa sarebbero sembrate impensabili. Operazioni cyber offensive, attribuzioni rapide e esercitazioni improvvise lungo il fianco orientale entrano nelle discussioni strategiche. Ma emergono anche dei dubbi
L’Europa sta iniziando a valutare possibili ritorsioni contro la Russia in risposta all’ondata di attacchi ibridi che sta investendo il continente. Secondo quanto riportato da Politico, diversi governi europei starebbero infatti discutendo opzioni che fino a poco tempo fa sarebbero apparse eccessive o addirittura provocatorie, da operazioni cyber di carattere offensivo contro obiettivi russi ad attribuzioni accelerate degli attacchi ibridi direttamente al Cremlino e persino ad esercitazioni militari “a sorpresa” sotto l’egida Nato lungo il fianco orientale dell’Alleanza.
Un cambio di passo che sembra emerge anche nel vocabolario scelto da esponenti di punta dell’elites europea. Come la ministra degli Esteri lettone Baiba Braže, secondo cui “i russi testano costantemente i limiti” e che è necessario un approccio più proattivo: non basta parlare, bisogna mostrare i fatti. Il dibattito si è fatto più duro anche a livello politico. O il premier polacco Donald Tusk, che ha accusato la Russia di praticare “terrorismo di Stato”. O ancora l’alto rappresentante Ue Kaja Kallas, che ha avvertito che le minacce russe rappresentano un “pericolo estremo” per l’Unione.
Resta però la grande questione su come agire senza oltrepassare una soglia pericolosa. La Russia vede Nato e Unione Europea come rivali, se non addirittura nemici dichiarati, e all’orizzonte rimane il rischio dell’escalation. Alcuni, come il capo della Difesa svedese Michael Claesson, sostengono che non si possa vivere nel timore costante dell’escalation e che serva maggiore fermezza. Alcuni esperti, come Filip Bryjka della Polish Academy of Sciences, propongono addirittura di colpire in maniera selettiva infrastrutture critiche russe, come la zona economica di Alabuga, dove vengono prodotti i droni Shahed, o sistemi energetici e logistici che alimentano lo sforzo bellico, pur rimanendo sotto la copertura della “plausible deniability”. Altri, come Kevin Limonier del think tank Geode, rimarcano come gli Stati europei siano vincolati allo Stato di diritto, e non possano replicare le tattiche russe senza porsi questioni etiche e strategiche.
In parallelo al dibattito, molti Paesi stanno già ampliando le proprie capacità di risposta. Germania e Romania stanno introducendo norme che autorizzano l’abbattimento dei droni sopra aeroporti e siti sensibili, mentre alcuni alleati, come Danimarca e Repubblica Ceca, hanno già aperto la strada alle operazioni cyber offensive. A livello Nato si starebbero valutando risposte asimmetriche, ma senza imitare i metodi di Mosca. Per rafforzare la deterrenza, l’attenzione si concentra su attribuzioni rapide degli attacchi ibridi, esercitazioni militari improvvise ai confini orientali e una maggiore mobilità degli assetti, insieme al lavoro del Centro di eccellenza di Helsinki, che fornisce formazione e linee guida contro le minacce ibride.
Qualcosa in Europa si sta muovendo. Chissà quale sarà l’esito. E chissà quale sarà il percorso seguito.
















