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Con Matteo Renzi, ma a una condizione. Parla Sergio Pizzolante (Area Popolare)

Dopo il deludente risultato delle Amministrative, il Nuovo Centrodestra è scosso da tensioni interne soprattutto da parte di chi vorrebbe portare il partito, alleato decisivo di Matteo Renzi, al ritorno alla “casa” madre di Silvio Berlusconi. Sergio Pizzolante, uno degli uomini più influenti ed emergenti in Area popolare (Ncd e Udc), numero due di Maurizio Lupi alla guida del gruppo di Montecitorio, definisce questo disegno “una soluzione sbagliata”. E con Formiche.net propone che Ncd “muoia per risorgere” come un “centro muscolare” (copyright Tony Blair) che stabilisca con il Pd un’alleanza più organica ma anche competitiva. Un po’ alla maniera del Psi di Bettino Craxi con la Dc. Pizzolante, rimasto socialista craxiano, porta l’esempio fortunato di quanto è accaduto alla prima tornata delle amministrative nella sua Rimini.

Onorevole Pizzolante, il senatore Giuseppe Esposito, ritenuto nella geografia Ncd vicino a Renato Schifani, ha chiesto le dimissioni del segretario Angelino Alfano e soprattutto che Ncd torni nel centrodestra. Che accade?

Succede che c’è una errata analisi dei nostri errori e da un’analisi sbagliata si propongono soluzioni ancora peggiori.

Quindi Alfano non si deve dimettere?

Il problema è capire adesso dove dobbiamo andare, non trovare soluzioni semplici a questioni complicate.

Cosa avete sbagliato?

Quasi tutto. Non abbiamo sbagliato quando ci siamo resi autonomi da Berlusconi perché in quel momento abbiamo salvato il governo e il Paese. Abbiamo indovinato il titolo del tema ma abbiamo sbagliato lo svolgimento dello stesso.

Può fare un esempio?

Intanto, non c’è stata la capacità di capire la differenza fondamentale tra il governo Letta e il governo Renzi. Il primo era nato da un accordo tra forze diverse e il problema in quel momento era che Enrico Letta non voleva ridurre le tasse e litigava con noi che invece volevamo il contrario. E quindi lì si giustificava l’idea concettuale di una alleanza a tempo…

Certamente, la riduzione delle tasse è tema di centrodestra.

Evidente. Con il governo Renzi è cambiato tutto, perché il premier attuale, a differenza di Letta, si è posto come primo obiettivo quello di tagliare le tasse, di eliminare l’articolo 18, di abbattere la burocrazia, assumendo così lui temi liberali di centrodestra.

Venendo quindi sul vostro terremo?

Venendo a casa nostra, dal punto di vista concettuale, programmatico. E quindi continuare a dire da parte di alcuni dei nostri che siamo alternativi a Renzi e che la prospettiva è quella di tornare nel centrodestra, ci ha portati in una terra di nessuno.

Perché?

Non siamo stati in grado di intercettare i flussi elettorali verso il governo, perché ci siamo dichiarati alternativi a Renzi, e al tempo stesso non siamo stati in grado di intercettare i flussi elettorali verso il centrodestra perché stiamo al governo.

Insomma, siete rimasti in mezzo al guado, per usare un termine famoso in politica?

Ci siamo messi in una terra di nessuno, incapaci di intercettare i grandi flussi elettorali. Ora il fatto che alcuni, gli stessi che hanno contribuito a creare questa situazione, oggi ci vengano a dire che la prospettiva è tornare nel centrodestra, che non c’è più, è la dimostrazione che a un’analisi sbagliata si propone una soluzione che sarebbe un suicidio.

Tanto più dopo che a Milano il modello del centrodestra di nuovo tutto unito non ha vinto seppur Stefano Parisi abbia perso molto bene?

Se nella città di Matteo Salvini e di Berlusconi, pur avendo un buon candidato, vince Beppe Sala anche con i voti del comunista Marco Rizzo, quello io lo considero un fallimento, non un mezzo successo.

Lei e Fabrizio Cicchitto volete entrare nel Pd? Oppure intendete avere un rapporto più organico e se è così in che termini?

Noi non intendiamo entrare nel Pd. Ma nel momento in cui non abbiamo colto la differenza concettuale tra il governo Letta e quello di Renzi abbiamo fatto del male a noi stessi. Abbiamo perso voti. Abbiamo fatto male al premier perché non abbiamo saputo auto-obbligarlo dal rifuggere dall’autosufficienza e abbiamo fatto del male al Paese perché non abbiamo costruito l’ipotesi di un’alleanza organica tra una prima forza politica di centro rappresentativa del ceto medio e la sinistra riformista di Renzi.

La sua Rimini può essere un po’ un modello?

A Rimini abbiamo costruito una forza rappresentativa del ceto medio orientata verso il governo, verso la cultura della proposta e non della protesta, eliminando tutte le sigle centriste che sono ammuffite e non parlano più a nessuno. Abbiamo creato un movimento nuovo e in alleanza con il sindaco (Andrea Gnassi, ndr) renziano abbiamo ottenuto il 14 per cento dei consensi e vinto al primo turno. Visto il disastro del Pd in tutta Italia, è un risultato eccezionale.

Con il Pd volete avere, alla maniera di Craxi con la Dc, un rapporto di collaborazione-competizione?

Esatto. Noi dobbiamo costruire una forza politica completamente nuova che Tony Blair definisce “un centro muscolare” e cioè una forza del ceto medio moderna e moderata nella cultura di modernità, ma radicale nella difesa dei propri principi.

A Renzi chiederete il cambiamento dell’Italicum?

Certamente. Noi dobbiamo recuperare due anni di tempo perduto e costruire questa forza nuova. E’ chiaro che una delle condizioni del rapporto con il Pd è che Renzi riconosca la necessità dell’articolazione di un’alleanza di questo tipo. E che l’eccesso di personalizzazione non fa bene a lui e al Paese. E che, quindi, non è con l’autosufficienza che si governa. Ecco perché è necessario che riconosca che occorre modificare la legge elettorale: quella attuale è un regalo gigantesco ai Cinque Stelle.

Chiedete l’introduzione del premio di coalizione?

Sì, ma non per un fatto tecnico-burocratico, ma perché con il premio di coalizione si afferma che c’è un area del Paese che vuole la ricostruzione e ha fiducia nell’azione di governo, ma non si riconosce nel Pd.

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