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Roghi e proteste in Libano. Gli scatti da Beirut

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A cavalcioni di un muro con la scritta “Libertà” in piazza dei Martiri
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Manifestanti – campeggiatori in piazza dei Martiri a Beirut
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Un rogo a Tayuneh, quartiere meridionale della capitale libanese
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Un volantino invita ad andarsene: il presidente della Repubblica Michel Aoun, lo speaker del Parlamento Nabiih Berri e il premier Saad Hariri
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Due poliziotti in tenuta anti-sommossa di fronte al Grand Serail, sede della presidenza del Consiglio
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Il fervore di una manifestante in piazza dei Martiri
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I manifestanti alzano le mani di fronte ai poliziotti schierati in piazza Riad al Sulh a Beirut, a fianco della presidenza del Consiglio
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In un momento di riposo in piazza dei Martiri, un manifestante posa con il cartello “rivoluzione”
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All’ombra del porticato della moschea Muhammad al Amin, il cartello recita “Tutti significa tutti”. Un chiaro invito ad andarsene rivolto ai politici
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Una piccola manifestante sulle spalle del padre in piazza dei Martiri
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In piazza dei Martiri, membri del “Circolo laico” dell’Università americana di Beirut
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Un manifestante mascherato in piazza dei Martiri, a Beirut
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Un rogo in piazza dei Martiri visto attraverso la vetrina frantumata di un edificio vuoto
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Panoramica della zona circostante piazza dei Martiri a Beiru
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Manifestanti alimentano un rogo a un ingresso di piazza dei Martiri, a Beirut
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Il vento dell’autunno caldo libanese soffia ormai da cinque giorni. E non accenna a placarsi. Ieri sera il presidente del Consiglio Saad Hariri ha parlato alla nazione promettendo che non ci saranno nuove tasse per un paese tra i più indebitati al mondo e che lo stipendio dei politici sarà dimezzato. Misure demagogiche già viste altrove, arrivate troppo tardi per soddisfare le folle che, da Algeri a Baghdad, hanno dimostrato di saper rivendicare tenacemente e pacificamente i propri diritti di cittadino. Cittadinanza è una parola di estrema pregnanza in Libano, dove l’appartenenza religiosa è l’elemento che – volenti o nolenti – determina l’identità e alimenta le divisioni.

Le proteste di questi giorni vedono nella ventilata proposta governativa di una tassa sull’utilizzo di WhatsApp solamente la scintilla che ha appiccato il fuoco dello scontento. Nella serata di giovedì scorso, blocchi stradali e cassonetti in fiamme hanno iniziato a punteggiare la capitale Beirut e le maggiori città libanesi. E riesce difficile biasimare i giovani che dalle periferie povere hanno raggiunto il centro in sella ai motorini e visto nelle immondizie brucianti il simbolo di una ribellione a lungo covata. A una prima fase di vandalismo e violenza, tuttavia, è presto subentrata la manifestazione pacifica e festosa.

Una mobilitazione che si è rivelata capace di spezzare le catene del confessionalismo coinvolgendo cristiani e musulmani, centro e periferie, Nord e Sud del paese in un fremito d’indignazione avulso da tinte politiche. Intorno alla bandiera libanese si stringono soprattutto i giovani, brandendo i motti già scritti e urlati nelle piazze delle primavere arabe la cui onda lunga si rinnova a Beirut, a Tripoli, a Tiro.

I ragazzi derubati del futuro in un presente di disoccupazione e incertezza che vede i più fortunati andare all’estero a nutrire la corposa diaspora libanese, lasciandosi alle spalle da una parte i meno abbienti condannati all’inedia e alla povertà e dall’altra i benestanti non di rado collusi con una classe politica ben pasciuta da corruzione e clientelismo.

Continua a leggere qui la testimonianza di Alessandro Balduzzi

(Testo e foto di Alessandro Balduzzi-riproduzione riservata)



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