È una “rivoluzione copernicana” (definizione di Matteo Renzi) un po’ contrastata quella che emerge dai decreti delegati approvati dal consiglio dei ministri il 24 dicembre e ancora ora dibattuta tra tecnici e politici.
Se la Cgil e la Uil capitanate da Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo sono le confederazioni che più criticano per l’impianto liberista – secondo loro – i decreti, di tutt’altro parere sono ad esempio gli esponenti del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano che, in particolare attraverso l’ex ministro Maurizio Sacconi, non hanno trovato nei decreti alcune misure che avevano auspicato.
Così, nella maggioranza, pure il senatore di Scelta Civica Pietro Ichino è rimasto spiazzato: prima ha sottolineato come il nuovo articolo 18 fosse valido anche per i dipendenti statali e poi ha dovuto incassare le smentite dei ministri Marianna Madia e Giuliano Poletti, per non parlare delle parole ironiche di Filippo Taddei, economista ex sostenitore di Pippo Civati e ora tra i consiglieri economici del presidente del Consiglio. E
Ma a rimettere tutto di nuovo in forse – sulla questione controversa del Jobs Act valido o meno anche per i dipendenti statali – è lo stesso premier Renzi che in un’intervista dice: “Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino. Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso, ma non sarà il governo a decidere”.
Ecco tutti i volti della diatriba sul Jobs Act nelle foto di archivio di Umberto Pizzi