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Non vi è dubbio alcuno che la nuova esplosione del conflitto israelo-palestinese in seguito al sanguinoso attacco messo in atto da Hamas il 7 ottobre di quest’anno abbia assorbito la quasi totalità dell’attenzione mediatica finora destinata al conflitto in corso in Ucraina, con somma preoccupazione da parte dei leader del Paese in lotta con la Russia. Ma l’impatto della nuova guerra in Medio Oriente sul corso di quella europea, che ha superato i 600 giorni, è destinato ad essere molto più forte di un temporaneo cambiamento di orientamento politico. A dirlo è Pavel Baev, research professor all’International Peace Research Institute di Oslo ed esperto dello spazio post-sovietico, che indica come l’interazione tra i due diversi conflitti non contribuisce soltanto ad aumentare il rischio di escalation in entrambe le crisi, ma impatta negativamente sui correnti problemi di governance globale.

In un suo intervento pubblicato sul sito dell’Ispi, l’accademico russo riconosce come per i primi 500 giorni il conflitto in Ucraina non abbia avuto particolari ricadute destabilizzanti all’infuori dei confini del Paese invaso: nessun’eruzione di violenza in Georgia e Moldova (Paesi con situazioni di frozen conflict tra autorità centrale e separatisti vicini a Mosca); nessuna risposta “rigida” da parte del Cremlino all’entrata di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica; i colpi di Stato nel Sahel, per quanto comodi a Mosca, non sono stati oggetto di particolari influenze russe; e Ankara, pur mantenendo velleità imperiali, non ha sfruttato il momento di difficoltà internazionale per espandere il proprio potere all’estero con mezzi poco consoni. E mentre in Yemen la sanguinosa guerra civile raggiungeva un precario ma ancora duraturo cessate il fuoco, tra Iran e Arabia Saudita era iniziato un processo di riavvicinamento, così come tra quest’ultima e Israele.

Secondo Baev, la causa profonda dietro a questa realtà dei fatti va individuata nella nuova unità raggiunta dal mondo occidentale in seguito all’esplosione della crisi ucraina nel febbraio del 2022, un’unità decisamente maggiore di quella che il presidente russo Vladimir Putin aveva previsto, capace di indirizzare gli affari internazionali in modo costruttivo anche al di fuori del dossier ucraino. Ma secondo l’accademico russo quest’unità deve adesso cimentarsi con tre differenti sfide.

La prima è quella del burden-sharing, fonte di problemi già prima dei fatti del 7 ottobre a causa della preminenza degli Usa nel sostegno finanziario e militare a Kyiv, e nell’incapacità dell’Europa di sostituire l’impegno americani in caso di un suo eventuale (e non impossibile) sganciamento dovuto a questioni politiche interne. Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, l’incompleta sovrapposizione delle posizioni diplomatiche di Europa e Usa all’interno della dinamica mediorientale potrebbe rendere ancora più spinoso il processo di suddivisione degli oneri.

La seconda riguarda le prospettive di pace, che se nel caso dell’Ucraina sono state facilmente individuabili (e condivise sin dall’inizio dall’Occidente) nella vittoria di Kyiv e nella riacquisizione della sua integrità territoriale (anche se con il passare del tempo l’opzione del negoziato prende sempre più corpo), nel caso mediorientale ancora una volta entrano in gioco le diverse sensibilità presenti nelle due diverse sponde dell’Atlantico verso le fazioni coinvolte nella crisi. Con il rischio che la spaccatura sulla questione israelo-palestinese possa allargarsi anche all’Ucraina.

La terza linea di frattura non riguarda direttamente l’Occidente, ma i suoi avversari, e concerne l’ordine internazionale. Sia Mosca che Pechino sono infatti decisi a sostituire l’ordine a trazione americana instauratosi in seguito alla Guerra Fredda. Ma mentre l’approccio cinese è più cauto, per via dell’interesse ad una certa stabilità fondamentale per lo sviluppo economico che è anche la sua principale arma di penetrazione, quello russo è più disruptive: Mosca non ha problemi a sfruttare ogni occasione possibile per dare una picconata all’attuale sistema internazionale, mentre al piccone Pechino preferisce lo scalpello. E le diverse posizioni assunte dai due paesi revisionisti rispetto alla crisi in Medio oriente ne è un’ulteriore riprova.

La coesione del blocco occidentale è oggi fondamentale per il modellare il mondo che verrà. E superare le divisioni interne per gestire al meglio le problematiche sopra enunciate è un tassello fondamentale per salvaguardare la stabilità. Per dirla con le parole di Baev, “Ogni successo che l’Ucraina ottiene sul campo di battaglia è un contributo al rafforzamento dell’unità dell’alleanza occidentale, e ogni moderazione che Israele mostra nelle sue operazioni per salvare vite innocenti aggiunge un po’ di valore a questa impresa”.

Tra Ucraina e Medio Oriente, le tre sfide per l’Occidente secondo Baev

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