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Ferve il dibattito sulla riduzione delle tasse, dopo l’annuncio del presidente del Consiglio Matteo Renzi di voler intervenire con un taglio da 10 miliardi. Misure che il premier e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan stanno mettendo a punto in vista del Consiglio dei ministri di domani: domenica sera il premier ha annunciato di voler intervenire a favore delle famiglie con “qualche decina di euro in più in busta paga” a chi ne guadagna fino a 1.500 al mese.
Una strada non condivisa dal leader degli industriali, Giorgio Squinzi, che in una lettera pubblicata oggi dal Corriere della Sera spiega perché a suo parere la misura ideale sarebbe invece la riduzione del cuneo fiscale pagato dalle aziende.

LE STIME RENZIANE VIA REPUBBLICA
Mentre governo, maggioranza e parti sociali si confrontano, Palazzo Chigi avrebbe già nel cassetto delle stime sui potenziali effetti della manovra. Gli esperti, ha scritto ieri Roberto Petrini sul giornale diretto da Ezio Mauro – calcolano che “su una ipotesi di 10 miliardi, circa 9 andrebbero direttamente in consumi per mano di circa 12 milioni di lavoratori che tornerebbero a far la fila alle casse dei supermercati“: l’aumento aggiuntivo del Pil “è calcolato nello 0,8 per cento fin dal 2014“. Un effetto non trascurabile, “dato che siamo allo 0,6 (la metà dell’Europa) senza trascurare il vantaggio per deficit e debito“.

LE PREVISIONI DI PROMETEIA
Diverse le stime di Prometeia, che oggi sul Sole 24 Ore, testata di proprietà di Confindustria, sposa la linea-Squinzi secondo la quale sarebbe più vantaggioso per l’economia italiana tagliare le imposte sulle imprese. Secondo la società di consulenza, dal taglio degli oneri sociali o del’Irap si avrebbe una crescita “dell’1 o dello 0,5 per cento” del Pil, dall’Irpef “solo 0,3 per cento“, considerato che secondo alcuni economisti gli sgravi sui redditi da lavoro “non cambiano il costo per le imprese“, mentre lo riducono “il taglio degli oneri sociali“. A parità di riduzione del cuneo fiscale, l’impatto sulla crescita cambierebbe dunque in base al tipo di intervento.

L’IMPATTO CONSIGLIATO DA BNL
La misura è comunque considerata importante se non necessaria dagli analisti finanziari. In questo contesto, ha sottolineato in un report Giovanni Ajassa, capo economista di Bnl-Bnl Paribas, “la strada per rendere l’Italia una destinazione competitiva non può essere solo quella della riduzione dei salari“, ma bisogna lavorare “sul filo rosso che lega fisco, capitale e credito“. Per Ajassa si dovrebbe “ridurre con decisione quel cuneo fiscale in capo alle imprese che è in Italia è del cinquanta per cento più alto che in Germania“. La leva fiscale “andrebbe usata in maniera strutturale anche per rilanciare la convenienza per le imprese ad accrescere il proprio capitale di rischio e a quotarsi“.

L’OPINIONE DI DI VICO
Sul quotidiano di via Solferino è Dario Di Vico ad analizzare le diverse ipotesi del provvedimento. “C’è il rischio concreto – evidenzia -, che se il taglio dell’Irpef si concentra sui redditi attorno ai 1.500 euro netti al mese (stimato tra gli 80 e i 100 euro mensili) è difficile che quei soldi prendano la via del risparmio“. Più probabile, secondo diversi osservatori, che vadano a sostenere i consumi di cibo, abbigliamento, elettrodomestici e prodotti del sistema casa. Difficile, invece, che sostengano altri settori in difficoltà, come quello automobilistico. Un’altra opzione, rimarca la firma del giornale diretto da Ferruccio de Bortoli, è che come chiede la Cgil la riduzione delle tasse avvenga “via detrazioni” con “il rischio… di sminuire l’effetto-annuncio perché il beneficio verrebbe riscontrato solo a fine anno. A meno che non si lavori sugli assegni per i figli con una misura che assomiglierebbe molto da vicino a un «coefficiente famiglia»“. Tra tante opinioni, conclude Di Vico, “non manca quella degli iper-scettici il cui ragionamento suona così: se i tagli dell’Irpef vengono coperti dalla spending review guadagneranno meno i burocrati e di più gli operai ma dal punto di vista della domanda il gioco è a somma zero“.

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