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La risposta della Rai al trionfo senza precedenti di X Factor è lo show russo di Albano e Romina, che andrà in onda probabilmente il prossimo 4 gennaio. A presentarlo dovrebbe esserci Pupo.

D’altronde, quale modo migliore per iniziare il nuovo anno e soprattutto, per dimostrare alla stampa criticona che Viale Mazzini sa reagire e svecchiarsi? Nulla contro la coppia de La Felicità o contro il mitico Enzo Ghinazzi, ma certo non si può negare che il loro momento d’oro è passato da un pezzo. E pensare che di giovani competenti in giro ce ne sono tanti. Ma ai piani alti del palazzo di vetro, lì dove si decidono le sorti della tv di Stato, i promettenti showman sembrano non arrivare.

Se pur si volesse spezzare una lancia a favore di coloro che dettano i palinsesti Rai dicendo che la musica paga in termini di ascolti e di share, per Mamma Rai non vale neppure tale regola. All’inizio di settembre lo show di Jovanotti è stato un flop e Sanremo ha i suoi soliti spettatori. Addirittura per provare a incrementali Fazio vorrebbe portare un bel gregge di pecore sul palco dell’Ariston.

Se spulciassimo però tra i futuri appuntamenti, troveremmo sicuramente il prossimo programma cult. Allora, lo facciamo. Dopo Mission – che lo sperato 10 per cento di share non lo ha toccato manco per scherzo – arriverà la versione moderna di Carramba con Cristina Parodi e Al Bano – a dirla tutta un po’ prezzemolino ultimamente – poi ci sarà una nostrana formula di I can do it! – perfetta commistione tra Tale e Quale Show e Ballando con le stelle, perché squadra che vince non si cambia piuttosto si mescola – e infine C-Factor, il talent dedicato alla comicità. Speriamo solo non sia come quello che Raitre dedica alla letteratura. Soprattutto, che costi un pelo meno, o il canone non basterà più per coprire i buchi.

Si sta puntando il dito, per l’ennesima volta, contro le spese della Rai? E perché non si fa lo stesso con l’allegra brigata capitanata da Murdoch? Per due ordini di motivi: innanzitutto perché ad esempio X Factor è stato pagato in buona parte dagli sponsor che hanno brendizzato qualsiasi cosa fosse a tiro di telecamera; in secondo luogo, Sky è una pay-tv, la Rai dovrebbe essere – e il condizionale è d’obbligo – un servizio pubblico.

InvecchiaRai. La tv di Stato punta sui volti del passato e si attacca al tubo catodico

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