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Angelino Alfano è fra tre fuochi, non potendone evidentemente bastare due in tempi eccezionali come questi.

Il primo fuoco è naturalmente quello dei forconi, con cui Alfano è alle prese nei suoi panni di ministro dell’Interno, preoccupato – come ha riferito al Parlamento – della “deriva ribellistica” che rischia di investire il Paese.

Il secondo fuoco è quello dei “cugini”, per ripetere un’immagine usata da Silvio Berlusconi per indicare, forse con eccessivo ottimismo, ma in quel momento con interesse tutto politico, il rapporto fra la rinata Forza Italia e il partito creato apposta da Alfano per non confluirvi.

Ormai, un po’ per l’andamento dei soliti sondaggi e un po’ per l’intima impressione che le elezioni anticipate siano più “lontane”, come dice Giorgio Napolitano, di quanto l’ex premier non mostri di ritenere, o di sperare, fra i forzisti prevale sempre più la voglia di logorare gli ex colleghi di partito. Che sono visti, più che come cugini, appunto, destinati a rientrare in famiglia per un rinnovo del Parlamento con una legge elettorale di stampo bipolare, come traditori ai quali tagliare bene le unghie nelle elezioni europee di maggio. Alle quali si va con il metodo obbligatoriamente proporzionale, ciascuno per conto suo.

Fa parte del fuoco dei forzisti anche lo scenario da “rivoluzione” immaginato o minacciato da Berlusconi in persona nel caso pur improbabile di un suo arresto – altro che servizi sociali – ora che, decaduto da senatore, non è più protetto con l’immunità parlamentare. Caso improbabile, quello dell’arresto, perché si stenta a credere che i magistrati vogliano compiere quella che gli stessi avversari di Berlusconi considerano un’autorete, visti i vantaggi mediatici che potrebbero derivarne al partito dell’ex senatore, e a lui stesso, al primo appuntamento con le urne.

Non sarebbe certamente incoraggiante uno scenario da “rivoluzione” per un ministro dell’Interno, peraltro rimasto sempre convinto, anche nel momento di separarsi politicamente da lui, del carattere persecutorio delle tante, troppe indagini e processi subiti da Berlusconi. Ad Alfano non rimarrebbe in quel caso che imitare nelle piazze i poliziotti accusati più o meno a torto in questi giorni, e da lui difesi in Parlamento, di avere in qualche modo solidarizzato con i forconi.

Il terzo fuoco da cui Alfano deve guardarsi è quello del nuovo segretario del Pd Matteo Renzi. Il quale anche dopo avere incontrato al Quirinale il presidente della Repubblica, ricevendone inviti alla cautela e alla difesa dei precari ma ancora insostituibili equilibri politici rappresentati dal governo di Enrico Letta, ha continuato a parlare di Alfano – come ha fatto con Federico Geremicca, de La Stampa – di uno che vorrebbe “menare il can per l’aia”, cioè “perdere tempo”, sulla strada delle riforme. Che il sindaco di Firenze vorrebbe invece accelerare, a cominciare da quella elettorale, per andare alle urne il più presto possibile, anche a costo di fare il percorso a zig zag, con il metodo delle cosiddette maggioranze variabili.

Risulta che, allarmatosene, Alfano sia stato rassicurato dallo stupore espressogli dal presidente del Consiglio per le interpretazioni alle quali si sarebbero prestate le parole di Renzi. Con il quale Enrico Letta rimane convinto di poter realizzare quel costruttivo e realistico “patto di governo 2014” appena promesso per le “prossime settimane” chiedendo e ottenendo la fiducia parlamentare per un “nuovo inizio”.

Le maggioranze variabili vanno intese per Letta come più larghe e non alternative a quella di governo, che rimane per lui centrale, prodotta da una scissione del centrodestra che egli ha definito proprio davanti al Parlamento come l’evento più importante degli ultimi vent’anni.

In sintonia con Letta è la convinzione espressa a Sky Tg 24 dal ministro alfaniano delle riforme Gaetano Quagliariello che o questa maggioranza trova entro 15 giorni un accordo sulle riforme, a cominciare da quella elettorale, da cui partire per eventuali nuove convergenze parlamentari, o non se ne fa niente. Nel senso che scoppia una crisi di governo, portata come un calza piena di carbone dalla Befana.

Francesco Damato   

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