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Nel discorso della vittoria Matteo Renzi ha alternato con maestria colpi alla nomenklatura e spirito conciliante. Dal suo discorso è stato espulso ogni riferimento a Berlusconi ed Enrico Letta non è stato nominato. E’ davvero una rottura con il passato?

Matteo Renzi si prende 45 minuti buoni per salutare la platea che lo acclama come nuovo segretario del Partito Democratico. Il Sindaco, tuttavia, ha evitato gli eccessi apparendo conciliante ed istituzionale. Certo la retorica è quella di sempre, dirompente e trascinante, ma a parte un passaggio in cui “la vecchia classe dirigente va a casa, ma la sinistra resta” è un Renzi composto e allo stesso tempo capace di trasmettere speranza.

Certo ieri non era il caso di passare in rassegna i nodi politici, che restano molti, dei rapporti interni al Pd e con il Governo, quindi l’affondata è giunta solo sulla “salvezza del bipolarsimo” e nella mitizzazione di un “PD che finalmente può e vuole vincere”. Per il resto via i dettagli da programma e dentro le idee di massima: lavoro flessibile, giù le tasse, rimessa in piedi delle imprese, via la burocrazia, la scuola come valore aggiunto alla produzione di idee e ricchezza, merito in tutte le salse. Incisivo il passaggio sull’Europa con l’attacco ai tecnici di Bruxelles e la necessità di ridefinire il protagonismo italiano nell’Unione Europea spesso oscurato da Commissari Europei, alti burocrati e capi di governo stranieri. Il discorso è sulla falsa riga di quelli obamiani e, come sempre, studiato e tagliato su misura per l’occasione.

A livello politico però valgono maggiormente i silenzi rispetto all’elencazione immaginifica della storia renziana. Nessuna parola su Silvio Berlusconi e per un leader appena incoronato dalla sinistra suono come una novità decisamente assordante. Matteo, non ci piove, se lo sarà studiato per ore chiuso nel suo ufficio di Palazzo Vecchio. Berlusconi non si nomina, perchè è finito, rovinato, isolato. Il palcoscenico del nuovo capo democratico non deve essere adombrato dalla curiosità che solleva il Cavaliere. Renzi non lo ha detto, ma in pratica sì: Berlusconi non merita la nostra attenzione, perché lo abbiamo già sconfitto.

L’altra bomba silenziosa cade invece sulla testa di Enrico Letta. Non un passaggio sul Governo eccetto il sottointeso che sarà lui, Matteo, a dettare la linea. Il Presidente del Consiglio non viene nemmeno nominato nel discorso. Anche qui, Renzi cerca l’ipnosi del suo pubblico perchè Letta non esiste nel linguaggio dell’emozione e del futuro: è già superato dagli eventi anche lui. Il Sindaco firma un capolavoro di comunicazione dove non getta fango sugli avversari più pericolosi, ma li condanna all’oblio. Allo stesso tempo prepara le forche per la vecchia sinistra, sottolineando ancora che quella classe politica è già rimpiazzata.

Con abilità Renzi è riuscito a far dimenticare ad ascoltatori e stampa i nodi che affliggono la sua via, prima fra tutte quelle del Governo e della legge elettorale. Non è caduto nello stereotipo del leader di sinistra che depreca l’immorale e condannato Cavaliere di Arcore e non si è impastoiato con promesse dettagliate sul futuro. Si è limitato a scaldare i cuori, a snocciolare un “elenco giocoso” di idee e lo ha fatto molto bene.

Certo quei nodi restano, così come un programma da scrivere ed in questo la retorica aiuta, ma non basta. Matteo Renzi si troverà presto a decidere, a timonare il nuovo Pd e di sicuro la percentuale alta della sua vittoria lo aiuterà non poco. Tuttavia, il Governo è ancora lì e la legge elettorale è la linfa vitale a cui diversi gruppi politici interpartitici si aggrappano. Renzi dovrà scardinare portoni da fuori del Parlamento e con la luce dei riflettori perennemente pendente sulla propria testa. La capacità comunicativa lo aiuterà, ma i fatti saranno l’ingombro più grande che il furbissimo Matteo dovrà superare.

Le bombe silenziose di Renzi

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