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Ieri sera nella sala Rossa dell’Albergo delle Agenzie a Pollenzo, a due passi dall’Università del Gusto di Carlo Petrini, si sono trovati politici e imprenditori langaroli. La tavola rotonda, e “tavola” è termine quanto mai appropriato perché la zona tra i comuni di Alba e Bra è zona di prelibatezze enogastronomiche, ha visto confrontarsi: Oscar Farinetti, Bruno Ceretto, Giuseppe Miroglio, Cristina Ascheri, Giuseppe Cavallotto, Giancarlo Scarzello e i sindaci di Alba e Bra.

Provo a riassumere il senso degli interventi: l’Italia è un paese dai numeri e dalle statistiche da schianto. Così Oscar Farinetti brillante e incisivo come sempre, di ritorno da Chicago “dove ho visto gli americani in coda a Eataly per mangiare pane e nutella”.
La zona di Alba e Bra e un’isola felice dal punto di vista politico e imprenditoriale. E’ un tessuto ricco di persone che “pensano locale e agiscono globale”. Imprenditori che hanno valorizzato il territorio garantendo profitti e posti di lavoro grazie a una vocazione alle esportazioni. E che negli ultimi anni hanno saputo ampliare la propria offerta, in particolare le aziende vitivinicole Ceretto e Ascheri, affiancando alla loro produzione d’eccellenza un’offerta turistica di valore che permette di accogliere nelle Langhe turisti di tutto il mondo che alla fine del loro viaggio si portano via un pezzo d’Italia. Del growth in Italy più che del made in Italy.
Quello che ha funzionato, oltre alla capacità di fare prodotti d’eccellenza e di saperli valorizzare soprattutto all’estero – ricordiamoci che buona parte di questo merito va al progetto Slow Food di Carlo Petrini che ha costruito un’identità fortissima riconosciuta in tutto il mondo -, è il sistema Langhe-Roero, il saper fare squadra tra pubblico e privato in tante iniziative di valorizzazione del territorio. Pensiamo alle manifestazioni Cheese, la Fiera del Tartufo. Al meccanismo per cui il 50% dei ricavi che provengono dalla tassa di soggiorno (tassa comunale) viene destinato all’Ente di promozione del territorio. Tutto il territorio che comprende i comuni della Langhe e del Roero, al netto dei campanilismi. E l’Ente di Promozione del territorio negli anni ha continuato, con una programmazione molto mirata, a far conoscere questa micro-regione nei paesi esteri più interessanti.
Insomma, se ne deduce che se un territorio si compatta attorno alla propria vocazione identitaria ed elegge a propri rappresentati nelle amministrazioni locali persone perbene che tengono i conti a posto come delle brave massaie, le stesse che nelle piole massaggiano i tajarin, si conservano posti di lavoro e ricchezza.
A voler fare i bastian contrari, però, si potrebbe obiettare che non conta solo creare posti di lavoro ma bisogna anche chiedersi di che tipo di posti di lavoro stiamo parlando. Perché un conto è se i posti di lavoro sono tutti di camerieri e receptionist, un conto è se sono posti qualificati. Il problema è che non ci si può dare le vocazioni che non si hanno. E in questo Farinetti ha ragione. Quando ha preso la parola Giancarlo Scarzello titolare di Gemini Project, azienda di consulenza termotecnica che strizza l’occhio alle energie rinnovabili e che vanta numerosi progetti di “casa attiva”, è stato chiaro che la tecnologia e l’innovazione sono concetti difficili da comunicare. Più di un prodotto enogastronomico. E’ stato chiaro che un’azienda che opera nell’impiantistica energetica che vuole fare innovazione da portare sul territorio in cui opera applica un paradigma completamente rovesciato a quello vincente “pensare locale – agire globale”. Perché “pensa globale” nel senso che cerca di ispirarsi alle best technologies available e “agisce locale” quando vuole portarle nel proprio territorio. La green economy può attecchire solo se il sistema locale si coagula attorno a una filosofia ben precisa che mette l’ambiente e la sostenibilità ambientale come fine della propria politica comunitaria e di sistema. Dal punto di vista economico non c’è da aspettarsi immediati vantaggi perché gli interventi “green” sono costosi, richiedono l’appoggio della mano pubblica, peraltro fuori dal controllo degli enti locali, e hanno un ritorno dell’investimento molto lungo nel tempo.

Che poi, a voler fare i bastian contrari, non vedo come si possa parlare di sostenibilità ambientale ed economica che va da Slow Food fino alla green economy quando un nugolo di 10 uomini dell’alta finanza londinese, in giornata, da Londra volano a Levaldigi (aeroporto di Cuneo), per pranzare in uno dei ristoranti di Bruno Ceretto degustando i vini più strani paga un conto di 14.000 Dollari. E’ ovvio a tutti che, se per un attimo alziamo il nostro punto di osservazione e guardiamo macroeconomicamente il sistema, ci accorgiamo come forse l’impatto ambientale c’è e come.
Varrebbe la pena, con meno ipocrisia, di chiamare le cose con il proprio nome ovvero come marketing territoriale. Che poi non è per nulla brutta cosa. Anzi. E’ la capacità di valorizzare al massimo delle sue possibilità le proprie capacità. Come la Romagna, che con il mare e le spiagge più brutte del mondo, è la regione più turistica d’Italia.

Il modello Alba-Bra è replicabile? Ecco, questo tema è stato poco affrontato durante la serata. La risposta, a mio avviso, è sì ma bisogna guardare la storia economica dei territori. Se guardiamo a quella delle Langhe, non dobbiamo dimenticare che negli anni 60, proprio ad Alba, la Ferrero di Michele Ferrero creava la nutella e il kinder. Due prodotti che hanno permesso a quella zona di avere un’industria capace di generare tantissimi posti di lavoro in tutte le aree aziendali, quindi posti anche altamente qualificati. Non bisogna dimenticare che, solo grazie alla Ferrero, le Langhe non hanno conosciuto fenomeni di emigrazione, come è invece capitato per altre regioni d’Italia. E il fatto che in un territorio rimangano le forze vive e vitali di ogni generazione fa sì che anche la rappresentanza politica sia adeguata. Perché persone che vivono bene in un territorio hanno anche una maggiore attenzione alla sua pulizia, alla sua bellezza. Hanno maggiore senso civico. E quindi chiedono e pretendono dalle istituzioni locali.
Nelle Langhe non c’è stato bisogno della supplenza dello stato centrale, di sussidi che inevitabilmente portano poi alle clientele e ai favori.

Infine, posto che trovo che tali iniziative di confronto siano molto utili perché rappresentano il modo sano ed efficace di “fare politica” sul e per il territorio, mi permetto di fare un’osservazione: per cercare di migliorare ulteriormente le cose sarebbe opportuno che a un confronto come quello dell’altra sera partecipasse anche chi non c’è l’ha fatta. Che si potesse ascoltare una voce fuori dal coro di quelli che vanno benissimo e che scalano i mercati esteri. Perché solo comprendendo le cause di un fallimento se ne possono evitare degli altri.

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