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Le emissioni di CO2 dovranno scendere del 40% e le energie rinnovabili dovranno arrivare a coprire il 27%. Il tutto entro il 2030. Sono questi i capisaldi dell’accordo della commissione Europea sul nuovo pacchetto “clima-energia” che dovrebbe prendere il posto del precedente, quello che si fermava all’orizzonte temporale del 2020. Sul punto ci sarà ancora da discutere, ovviamente. Una formulazione legislativa non dovrebbe arrivare prima di qualche mese, dopo il passaggio al consiglio dei ministri competenti. Ma in Italia ha già acceso un infuocato dibattito tra industriali – con Giorgio Squinzi in testa a guidare l’arrembaggio – e ambientalisti pronti a rispondere dalle retroguardie appiccicando, addosso ai detrattori delle nuove misure, il bollino di “visione vecchia”.

LE LINEE DI SQUINZI E DI ORLANDO

Se da un lato il leader di Confidustria, nei giorni scorsi, ha criticato l’appoggio del ministro Andrea Orlando ad obiettivi ambiziosi, chiedendo al governo di esprimere una posizione univoca (dal momento che alzare l’asta dei target sarebbe un ‘peso’ per le nostre imprese), dall’altro proprio il titolare del dicastero dell’Ambiente aveva spinto, insieme ad altri colleghi europei, per portare in su quegli obiettivi, con il sostegno, naturalmente, del mondo ambientalista. Da poche ore gli angoli della polemica sembrano però essersi smussati: si è deciso infatti di portare avanti uno studio tecnico per capire come fare per riuscire a tenere insieme un processo di sostenibilità ambientale e di salvaguardia del sistema industriale del nostro Paese, sapendo che l’innovazione è la base per la decarbonizzazione dell’economia.

BARROSO E LE MISURE VERDI
Un taglio del 40% nelle emissioni di gas serra – ha affermato il presidente della commissione Ue, José Manuel Barroso parlando di questo “libro bianco” per il 2030, che è in effetti ancora da scrivere nella sua sostanza – rappresenta un obiettivo particolarmente ambizioso, ma è la pietra miliare più efficace in termini di costi nel nostro percorso verso un’economia a basse emissioni”. E, del resto, “anche l’obiettivo di raggiungere il 27% di energie rinnovabili è un segnale importante: rappresenta stabilità per gli investitori, stimola l’occupazione verde e rende più sicure le nostre forniture energetiche”.

I PUNTI DEL NUOVO PACCHETTO
I punti principali del nuovo pacchetto “clima-energia” al 2030 sono tre: CO2, rinnovabili, efficienza energetica. Per quando riguarda i target di CO2 è previsto il taglio del 40% delle emissioni rispetto al 1990; è un aspetto vincolante, con impegni nazionali dei singoli Stati membri. Le rinnovabili dovranno coprire almeno il 27% dei consumi di energia a livello Ue; è previsto un nuovo sistema per giungere al traguardo fissato. Il terzo caposaldo per l’Europa è la parte che riguarda l’efficienza: su queste misure però alcune novità dovrebbero arrivare tra l’estate e l’autunno. Gli investimenti in media dovrebbero sfiorare i 40 miliardi di euro all’anno. Anche il sistema dello scambio di quote di CO2 subirà delle modifiche per rendere più stabile il mercato (si pensa alla creazione di una riserva all’inizio del 2021, in modo da regolare l’asta). Ma sulla questione anche altri spunti potrebbero venir fuori, soprattutto a livello di singole nazioni, se come diceva (un po’ di tempo fa) Jacopo Giliberto su ‘Il Sole 24 Ore’ “le imprese sono in allarme” per i ‘ladri di CO2’. E se ora si parla di riforma della Borsa di CO2.

L’INDUSTRIAL COMPACT

A sostenere poi la possibilità di coniugare ambiente e industria, in una prospettiva di innovazione e ricerca, ci pensa anche il vicepresidente della commissione Europea Antonio Tajani che, presentando l’Industrial compact, insieme con Barroso, parla di “matrimonio possibile”, e anche se “alcuni settori dell’industria non sono contenti, l’industria non sta all’opposto del cambiamento climatico”. Infatti, nella “scatola” confezionata dalla commissione Ue c’è anche questa sorpresa per le imprese: l’Industrial compact prevede infatti il raggiungimento di un obiettivo del 20% del Pil Europeo dal manifatturiero entro il 2020, e lo fa attraverso 150 miliardi di fondi Ue. Altri punti dell’accordo sono un’armonizzazione dei costi dell’elettricità (troppo più alti rispetto, per esempio, a quelli degli Stati Uniti), e l’apertura allo shale gas lasciando a ogni Stato la possibilità di scegliere se sfruttarlo o no, applicando comunque delle disposizioni per la difesa dell’ambiente.

LE REAZIONI DI CONFINDUSTRIA
La reazione degli industriali è in linea con le espressioni dei giorni precedenti: viale dell’Astronomia parla di target “irrealistico e autolesionista” che potrebbe avere “gravi effetti sulla competitività dell’industria italiana ed europea, senza produrre i risultati sperati”. E, anche se offre il proprio sostegno all’Industrial Compact annunciato da Tajani – definendolo “un chiaro segnale della volontà dell’Europa di puntare sull’industria, per un effettivo rilancio della crescita e dell’occupazione, possibili solo attraverso il manifatturiero” – gli industriali restano “fortemente preoccupati per il quadro delle politiche climatiche ed energetiche da qui al 2030”: tra i pericoli segnalati, il possibile “aumento del prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso tra il 15 e il 20%”, aumentando ancora di più il divario che il settore paga rispetto all’estero.

CHE COSA DICONO GLI AMBIENTALISTI
Naturalmente opposto il punto di vista degli ambientalisti. Per Legambiente gli obiettivi sono “insufficienti, con una preoccupante e pericolosa retromarcia rispetto agli impegni assunti finora dall’Europa per contenere il riscaldamento globale sotto i 2 gradi centigradi”. Secondo il presidente dell’associazione, Vittorio Cogliati Dezza, l’Unione europea dovrebbe “impegnarsi a ridurre almeno del 55% le emissioni interne entro il 2030 e contemporaneamente a raggiungere il 45% di energia rinnovabile, tagliando il consumo del 40%”. Sulla stessa linea Greenpeace, per la quale il Piano Europeo è semplicemente “deludente” ed è per questo che chiede una correzione puntando a orizzonti più lontani. Eppure, come dice Gianni Silvestrini su ‘Qualenergia’, “il 2030 è vicino e l’industria dell’energia verde deve prepararsi”, e l’obiettivo legato alla riduzione delle emissioni di CO2, “oltre a dare certezza alle industrie delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, consentirà all’Europa di giocare un ruolo incisivo nelle trattative per un accordo mondiale sul clima il prossimo anno a Parigi”.

GLI APPROFONDIMENTI FRA ORLANDO E SQUINZI
Si è aperta però, proprio in queste ore, una finestra ‘dialogante’ tra il ministro Orlando e Confindustria, dopo un incontro su queste nuove misure proposte dall’Ue. Il risultato è l’avvio di un “approfondimento tecnico, economico e finanziario” per “verificare gli impatti e le opportunità per l’industria italiana dell’obiettivo proposto dalla commissione Europea”. Con questo studio – ha spiegato il ministero – si intende “verificare la possibilità di avviare un incisivo processo di indirizzo verso la sostenibilità ambientale del Paese salvaguardando la sua forte base industriale, che ne costituisce una premessa fondamentale, nella condivisa consapevolezza che senza la trasformazione e l’innovazione della brown economy non ci sarà mai un vero sviluppo della green economy”. Il ministro, dal canto suo, ha ribadito “la propria volontà di trovare soluzioni che, compatibilmente con il livello di ambizione contenuto nella posizione della commissione Europea, consenta di tenere conto delle esigenze del sistema industriale nazionale e di distribuire lo sforzo per il taglio delle emissioni sull’insieme dei comparti che generano CO2 a differenza di quanto avvenuto in passato”.

GLI OBIETTIVI DI ORLANDO
Per Orlando – ha spiegato sempre il ministero – “l’obiettivo del 27% sulle fonti rinnovabili” è “un risultato non sufficiente” dal momento che “diverse tecnologie, ad iniziare dal fotovoltaico, nei prossimi 15 anni non avranno bisogno di incentivi, ma anzi consentiranno di abbassare le bollette di imprese e famiglie”. L’auspicio del ministro è che “il Parlamento Europeo possa fare propria la decisione della commissione Ambiente ed energia del Parlamento stesso che ha già preso posizione a favore di obiettivi più ambiziosi. E’ auspicabile – ha osservato Orlando – che la fase di conciliazione che si svilupperà durante il semestre di Presidenza italiana porti a consolidare e ad irrobustire questi obiettivi”.

L’AZIONE DEL GOVERNO
Intanto, il ministro sembra dare una risposta anche alla richiesta di Confindustria, affinché il governo parli con una voce sola. Infatti, nei prossimi giorni Orlando – ha fatto presente il ministero – “proseguirà il suo giro di orizzonte al fine di definire una posizione univoca del governo italiano e per mettere le basi di un’efficace strategia di riduzione delle emissioni, di sviluppo delle rinnovabili e di aumento dell’efficienza energetica che contribuisca al rilancio economico del Paese”.

L’ALLARME DELLE IMPRESE, LA POSIZIONE DI CLINI, LA BORSA CO2
Come accennato in precedenza, su “Il Sole 24 Ore” si parlava già qualche anno fa del blocco europeo dei registri delle quote di emissioni di CO2, a causa di truffe da parte di ‘ladri di CO2’ che agivano in diversi modi, dal furto informatico all’omissione dell’Iva (che in alcuni Paesi non c’è). Jacopo Giliberto la questione la spiegava bene, e nel suo pezzo faceva presente come ogni Paese provava a metterci una toppa. L’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini – chiamato in causa nell’articolo, sia come allora direttore generale del dicastero di via Cristoforo Colombo (carica che tuttora ha ripreso a coprire) sia come presidente del Comitato italiano di gestione del Piano quote – parlava di “tre problemi: il mercato dei diritti non è regolato ed è essenzialmente speculativo; non c’è un sistema di tassazione uniformato; non c’è la garanzia che quelle scambiate siano quote reali di anidride carbonica”. Per capire come la cosa si è evoluta, Giliberto riesce a renderlo chiaro su un nuovo pezzo (a distanza di qualche tempo…), sempre su ”Il Sole 24 Ore”, dedicato al nuovo pacchetto Ue e allo slittamento della riforma della Borsa delle quote di CO2 al 2021. La firma ‘energetica’ del Sole fa presente alcuni aspetti da tenere fondanti, in particolare “se questi obiettivi” vengono “accompagnati da politiche integrate, strutturali, incisive per rendere questi obiettivi anche strumenti di crescita industriale”.Tra le espressioni migliori, Giliberto ricorda che “la tastiera su cui agire per comporre una politica ambientale armonica con l’economia ha tantissime altre soluzioni, come l’adozione di strumenti fiscali intelligenti, rimozione dei vincoli al patto di stabilità, certezze agli investitori, incentivi per l’innovazione tecnologica, l’ammodernamento complessivo del sistema produttivo”. Belle metafore, che però, e Giliberto questo lo dice chiaramente rituffandoci nella realtà, sono “tutti strumenti che, calati su scala nazionale, devono essere oggetto di una negoziazione, che per ora pare assente o molto debole”.

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