Skip to main content

Il conflitto in Sud Sudan sta sfuggendo di mano ai suoi stessi protagonisti? Dopo una settimana di scontri tra le forze fedeli al presidente in carica Salva Kiir e il suo avversario Riek Machar, che ha ammesso di essere il leader della ribellione, la risposta più veritiera è “probabilmente sì”, e le conseguenze dovrebbero preoccupare molti, non solo all’interno dei confini del più ‘giovane’ Stato del mondo. L’elemento etnico che alcuni commentatori hanno sottolineato – la contrapposizione tra i Dinka, etnia cui appartiene Kiir, e i Nuer di Machar – non è in alcun modo la causa diretta della crisi, anche se, viste le rivalità storiche tra le due comunità, può contribuire a renderla più grave.
In gioco, tra i due ‘pesi massimi’ della politica sud-sudanese, ci sono essenzialmente questioni di potere: quello della ‘stanza dei bottoni’ nella capitale Juba, innanzitutto. Il Sud Sudan, a oltre due anni dall’indipendenza, è ancora un Paese in cui mancano la maggior parte delle infrastrutture di base, e la sua città più importante è diventata un crocevia di agenzie umanitarie, di flussi di aiuti e di risorse. Un’economia nell’economia, se è vero che è tra i luoghi più cari al mondo per gli espatriati. Avere un posto nel governo (che Machar, ex-vicepresidente, ha perso nello scorso luglio) significa anche controllare parte di questo business.
Un discorso simile – applicabile, stavolta, più agli alleati minori che ai due leader – vale per quanto riguarda l’esercito. L’SPLA (Sudan People’s Liberation Army, già braccio armato del movimento protagonista della lotta per l’indipendenza) nel 2012 ha pesato per il 41% sulle spese statali, tanto da essere stata definita da alcuni commentatori una vera e propria fonte di welfare. Considerato il rapporto ancora stretto con l’ala politica (o meglio con le varie fazioni contrapposte nell’arena politica sud-sudanese) è evidente quanto possa contare, per i diversi comandanti locali, schierarsi dalla parte ‘giusta’ negli scontri in corso.
Che le conseguenze del conflitto riguardino solo l’ambito locale, però, è – come già accennato – un’illusione. E basta guardare anche solo ai più immediati vicini di Juba per capirlo: un buon numero di imprese dell’Africa orientale, soprattutto kenyane e ugandesi, ha interessi nello sviluppo del nuovo Stato e  i primi scontri hanno già provocato danni finanziari non indifferenti: la compagnia aerea Fly 540, che ha sospeso i voli da e per Juba, stima di perdere fino a 50 mila dollari al giorno a causa di questa sola decisione. E anche l’economia informale (dominata, nella capitale, da cittadini ugandesi) sta subendo duri colpi, con conseguenze immaginabili sulle rimesse che gli espatriati inviano alle loro famiglie in Uganda.
Ci sono poi le grandi partite, tra cui quella dell’acqua del Nilo, che preoccupa soprattutto l’Etiopia – impegnata nel maxi-progetto idroelettrico della Diga del Rinascimento – e si regge su equilibri politici fragilissimi. Un cambio di allineamento politico da parte di un eventuale nuovo governo sud-sudanese disturberebbe non poco i piani di Addis Abeba. Infine, il petrolio, la risorsa per eccellenza, che entra in gioco su due piani: il primo è quello del nuovo oleodotto destinato a raggiungere Lamu, in Kenya. Un progetto capace di sciogliere Juba dagli ultimi legami con il nemico di sempre, il Sudan settentrionale, sul cui territorio passa l’unica infrastruttura oggi funzionante. E un’opportunità economica per i Paesi a sud, che non vedono certo di buon occhio un rallentamento.
Petrolio significa anche concessioni, che sono state assegnate in questi anni anche a imprese di Paesi come India e Cina, comprensibilmente ‘affamati’ di energia. E gli accordi, in caso di ‘cambio di regime’ andrebbero probabilmente rinegoziati, in un momento in cui molti giacimenti dell’Africa centro-orientale si trovano in Stati politicamente non sempre stabili, dal Centrafrica al Mozambico passando per l’est del Congo.
Se la convenienza politica spinge i rivali sud-sudanesi verso la guerra, potrebbe dunque essere l’economia a suggerire una pace: e se i grandi della Terra (compresa l’amministrazione di Washington, che molto ha investito sull’indipendenza sud-sudanese) dovranno necessariamente giocare un ruolo, anche i vicini ‘africani’ hanno strumenti di pressione potenti. Un esempio è l’adesione alla Comunità dell’Africa Orientale (EAC), l’organizzazione regionale che comprende Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda e Burundi. Diventarne il sesto componente aprirebbe prospettive – anche economiche – interessanti per il Sud Sudan: in origine, il verdetto su Juba era atteso ad aprile. Una scadenza che, se le ostilità cessassero rapidamente, potrebbe ancora essere rispettata.

Sud Sudan, cosa c’è davvero in gioco

Il conflitto in Sud Sudan sta sfuggendo di mano ai suoi stessi protagonisti? Dopo una settimana di scontri tra le forze fedeli al presidente in carica Salva Kiir e il suo avversario Riek Machar, che ha ammesso di essere il leader della ribellione, la risposta più veritiera è “probabilmente sì”, e le conseguenze dovrebbero preoccupare molti, non solo all’interno dei…

Moncler e quei 130 milioni volati via

Qualcuno se ne è accorto, ma non i grandi giornali inondati di pubblicità per la Ipo col botto di fine 2013 della Moncler. A pagina 29 del prospetto informativo si riferisce della cessione da parte di Moncler, avvenuta a poche settimane dalla quotazione, di un non meglio definito ramo aziendale sportswear alla società Cavaliere Brands, che fa capo a una…

Napolitano, Cossiga e il grillino Pci

Quello che fu il Pci, con le appendici che seguirono al suo formale scioglimento dopo il crollo del muro di Berlino, non esce certamente rivalutato dalle distanze che Giorgio Napolitano, per difendersi dalla minaccia di Beppe Grillo di promuoverne l’accusa di tradimento della Costituzione, ha voluto appena rivendicare riaprendo i suoi cassetti. In particolare, il presidente della Repubblica ha diffuso…

La guerra totale di Erdogan

La guerra non più sotterranea di Erdogan si è ufficialmente aperta sul fronte giudiziario: come se una sorta di Pio Albergo Trivulzio sul Bosforo avesse innescato una reazione a catena – geopolitica - di difficile gestione. In Turchia dopo le manette è tempo di licenziamenti. In risposta alle indagini sulla corruzione e agli arresti, il primo ministro turco Erdogan ha…

Il Natale di Papa Francesco. Messe, benedizioni e dossier sul tavolo

E' stata impegnativa la settimana appena conclusasi, per Papa Francesco. Incontri con la curia, udienza del mercoledì, nomine e preparazione al Natale. RIMOZIONI E PROMOZIONI NEL GOVERNO VATICANO Lunedì è stato diffuso il nuovo organigramma della congregazione per i Vescovi, potente e influente. Confermato il prefetto scelto da Benedetto XVI, il canadese Marc Ouellet. Sotto, però, grandi cambiamenti tra i…

Washington, la corsa dei maglioni natalizi più imbarazzanti

Il natale non è solo la festa dei regali, del tempo trascorso con la famiglia e con i bambini, è anche il tempo del kitsch. L'abbandono della sobrietà per estetiche più pacchiane non riguarda solo le decorazioni ma anche l'abbigliamento, soprattutto se si tratta dei tipici maglioni di lana con disegni ultra natalizi, evidentemente molto diffusi negli Stati Uniti dove…

Emma Bonino, mediatrice tra Europa e Iran

Il ministro degli Affari esteri, Emma Bonino, è sempre più convinta che con l’Iran è necessario mantenere un rapporto di amicizia e collaborazione. Per questo, dopo 10 anni di assenza della diplomazia italiana, è andata in visita dal presidente Hassan Rohani questo fine settimana. VECCHI IMPEGNI “Sono qui per onorare l'impegno preso da me e Zarif (Mohammad Javad Zarif, ministro degli…

Letta, la conferenza stampa di fine anno. La diretta

Alle 12, nella Nuova Aula dei Gruppi parlamentari, si tiene la conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio Enrico Letta. L'appuntamento è trasmesso in streaming sulla webtv della Camera. Guarda la diretta.  

Tutti i silenzi omertosi su come Telefonica si sta pappando Telecom

Pubblichiamo l'intervento di Massimo Mucchetti, giornalista economico e saggista, deputato del Pd, uscito ieri sul quotidiano l'Unità Temo che a Enrico Letta sia scappato il piede sulla frizione. L'altro ieri, nella conferenza stampa di Bruxelles, il premier ha espresso due concetti in più rispetto al necessario per giustificare la posizione del governo contraria a una rapida e incisiva riforma dell'Opa…

Tornare al Vaticano II, quello vero

A cinquant’anni di distanza (era il 1963) dall’apertura, il Vaticano II non cessa di far discutere. Il che, di per sé, non sarebbe necessariamente un male, anzi. Per chi abbia cura di non applicare alle vicende della fede categorie che poco o nulla hanno a che fare con essa, più il Vaticano emerge come “segno di contraddizione”, più si conferma…

×

Iscriviti alla newsletter