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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali 

Nessuno degli europei negò il proprio fiancheggiamento agli Stati Uniti alla conferenza mondiale sulle telecomunicazioni organizzata in dicembre a Dubai dall’International Telecommunication Union (Itu). Opportunamente, il testo finale non fu messo ai voti per non evidenziare la frattura prodottasi tra Occidente da un lato e Russia e Cina, sostenuti da Brasile, India e larga parte della comunità internazionale dall’altro. La contrapposizione verteva su due punti contenuti da una clausola, solo apparentemente innocua (perché tecnicamente riferibile agli spam). Questa conferiva ai singoli stati il potere di “adottare misure per prevenire comunicazioni elettroniche indesiderate” e anche quello di “ minimizzare il loro impatto sul circuito internazionale delle telecomunicazioni”.

GOVERNARE INTERNET
Né aveva convinto l’escamotage del segretario generale Hamadoun Touré (Mali) di relegare in un allegato il passaggio “to foster an enabling environment for the greater growth of the Internet” (per promuovere un ambiente favorevole per la maggiore crescita di Internet). Si trattava del primo tentativo in assoluto di aprire la strada a un governo internazionale di Internet sotto l’egida dell’Itu, organizzazione collegata alle Nazioni Unite, una vera “rivoluzione” nel controllo dello strumento notoriamente assunto in esclusiva dall’americana Internet corporation for assigned names and numbers (Icann).

Da un lato l’Occidente suonò il campanello d’allarme contro il rischio di legalizzare la censura, così spesso praticata da taluni paesi non propriamente democratici, e a difesa della libertà di comunicazione. Dall’altro, e soprattutto, si preoccupò non poco che l’Itu, sia pur limitandosi a principi generali confinati in un allegato, delineasse l’ipotesi di estendere le proprie competenze allo strumento di Internet, e che si potesse immaginare che nel futuro del funzionamento e sviluppo di Internet entrasse a far parte il resto del mondo. Su 144 partecipanti sottoscrissero l’intesa 89 paesi, fra i quali appunto Cina e gli altri Brics.

Ma la questione rimane di attualità, perché una risoluzione in chiusura di conferenza ha invitato Touré a continuare nei passi necessari per rivestire un ruolo attivo nel modello multilaterale di Internet.

NUOVA LUCE
Il caso Snowden getta ora nuova luce sull’andamento delle dinamiche intorno al governo di Internet. Rivelando che, al di là del “contenzioso” tra Occidente e larga parte della comunità internazionale (Russia e Cina in primis), vivaci recriminazioni esistono anche in ambito occidentale quanto alle modalità della gestione americana della sicurezza.

Pur nella piena condivisione dell’obiettivo di contrasto a terrorismo ed attività illecite, gli europei mostrano forte disagio sulla pervasività delle operazioni della National Security Agency (Nsa) soprattutto nei confronti di paesi alleati, e addirittura delle loro leadership, di cui dovrebbe scontarsi una stretta collaborazione.

Viene infatti in rilievo la protezione di interessi commerciali, di brevetti industriali, di strategie economiche. Al contempo si cerca il necessario equilibrio tra sicurezza e due fondamentali diritti umani, il diritto alla privacy e alla libertà di espressione.

Non è chiaro se sia trattato di applicazione extra-territoriale del Patriot Act, con l’attiva collaborazione di Gran Bretagna e pochi altri “fedelissimi”, ovvero di una sorta di “delega in bianco” più o meno tacitamente conferita a Stati Uniti e Gran Bretagna dagli stessi alleati, e quindi di un gioco delle parti in cui ognuno ha poi dovuto rispondere alle proprie opinioni pubbliche.

Sta di fatto che per la prima volta, gli Stati Uniti si sono trovati a dover giustificare, rassicurare, prospettare rettifiche dei metodi esistenti. E Londra ad inaugurare una trasparenza nei confronti del proprio parlamento senza precedenti. Senza contare l’esibito imbarazzo delle stesse società americane del settore informatico che si sono precipitate a rassicurare clienti e utilizzatori sul rafforzamento dei propri meccanismi interni di protezione dati.

Le più vivaci recriminazioni sono giunte dalla Germania, primissimo produttore di brevetti e principale esportatore al mondo, che, dopo aver tentato di introdurre il capitolo sicurezza informatica nei negoziati Ue-Usa per una Partnership Transatlantica su Commercio e Investimenti ha optato per una risoluzione dell’Onu a difesa della privacy in un’inedita sinergia con il Brasile.

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Laura Mirachian è Ambasciatore, già Rappresentante Permanente presso Nazioni Unite e Organizzazioni Internazionali a Ginevra.

La rivoluzione della sicurezza informatica

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