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Un emendamento, proposto dal presidente della commissione Bilancio alla Camera, Francesco Boccia (Pd), propone di tassare i profitti delle multinazionali online (come Google o Amazon) derivati dalle vendite e dalla pubblicità fatte in Italia. Il testo, che verrà depositato giovedì 7 novembre al Senato, è ora al vaglio dei tecnici del Pd e riprende una norma già inserita dal Pd alla Camera – dal deputato Ernesto Carbone – nella delega fiscale secondo cui le società multinazionali che operano anche in Italia, vedi ad esempio Google, dovranno pagare le tasse nel nostro Paese in misura proporzionale al fatturato. Ma la soluzione proposta dal Pd non entusiasma tutti e ha innescato un dibattito tra gli addetti ai lavori, alcuni dei quali, come Francesco Galietti, analista di Policy Sonar, credono che i proventi delle aziende del web vadano sì tassati maggiormente, ma secondo altri criteri.

COSA PREVEDE LA NORMA IN FIERI
La norma che il Pd punta a inserire nel ddl Stabilità (e che a differenza della delega, se fosse votato, entrerebbe in vigore da subito dopo l’approvazione del ddl) riguarda, ha spiegato il relatore Pd Giorgio Santini all’agenzia Public Policy, tutto il commercio online e prevede di applicare le tasse italiane, come ad esempio l’Iva, alle multinazionali che operano in Italia. L’emendamento consentirebbe di fare immediatamente cassa (si parla di un gettito stimato in 1 miliardo di euro).

L’OBIETTIVO SBAGLIATO
Secondo Galietti, anziché focalizzarsi sulla raccolta pubblicitaria come punta a fare la Google Tax di Boccia, “vale la pena di studiare soluzioni che interessino la totalità degli Over the top e che non siano una semplice gabella per giunta scritta con un drafting zoppicante e a rischio di confliggere con princìpi europei“.

NON SOLO PUBBLICITÀ
A parere dell’analista, “in realtà gli OTT sono molto di più che un semplice dossier sulla raccolta pubblicitaria, e non operano affatto in regime di gratuità“, oltre ad esigere “dagli utenti un prezzo non monetario come contropartita dei propri servizi“: condizioni di servizio con relativa licenza di sfruttamento per l’azienda dei contenuti prodotti dall’utente, oltre che la possibilità di tracciarne e (vendere) comportamenti e gusti (elementi illustrati dal professor Juan Carlos De Martin del Politecnico di Torino nel numero 62 di Aspenia).

LA SOLUZIONE FRANCESE
Come fare, allora, per rendere più equa la loro tassazione? Per Galietti “la task force francese sulla tassazione dell’economia digitale da un lato ha enfatizzato il business legato alla sistematica raccolta e rivendita di profili, dall’altro ha ipotizzato una tassa basata non sulla raccolta pubblicità ma sull’effettivo consumo di banda – unico modo per fare i conti con una categoria, quella degli OTT, tanto ampia quanto eterogenea“.

Google Tax, sbagliato tassare i paperoni del web?

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