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Rifiuto totale della guerra e del militarismo. Questa la politica adottata dal Giappone con la Costituzione del 1947 (Nihonkoku Kenpō) che stabilisce chiaramente, ancora più fermamente dell’articolo 11 della Costituzione italiana, non solo il divieto tassativo della “minaccia/ricorso all’uso della forza come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali”, ma pure il “non riconoscimento del diritto di belligeranza del paese”.

Svolta
Ciononostante, dal 2007 le forze di autodifesa giapponesi (Jieitai) fanno capo a un Ministero della difesa che, per mezzo dell’esclusivo National Institute for Defense Studies (Nids), è responsabile della creazione e messa a punto di un nuovo tipo di strumento militare.

Centrale è la nuova dottrina giapponese dell’indipendenza marittima. La Forza di autodifesa marittima (Kaijō Jieitai) fa infatti la parte del leone nella nuova politica estera giapponese. Si tratta di un leone marino iperattivo nella difesa degli interessi geostrategici del paese, dall’Oceano Pacifico all’Oceano Indiano, passando per il Mar della Cina.

Nel Mar della Cina il premier conservatore-nazionalista Shinzō Abe corre sul filo del rasoio di una serie di assi economico-politici concorrenti. Tra questi emerge la difesa della sovranità giapponese sulle isole Senkaku o Diao/Tiaoyutai, una questione su cui Repubblica popolare cinese, Giappone e Repubblica di Cina si stanno scontrando in senso lato e letterale.

Due anni fa la Cina, scavalcando il Giappone, è diventata la seconda più grande economia del mondo. Rispondendo indirettamente a questo balzo in avanti, e in seguito alle recenti dispute territoriali, il Nids e il ministero della Difesa del Giappone hanno elaborato nuove linee guida. Le si ritrova, in particolare, nel terzo documento “revisionista” del periodo post Guerra Fredda del 2010 e nel Libro bianco della difesa del 2012.

In questi due documenti si evince che nuove, flessibili e dinamiche (i.e., con un’acquisita o potenziata forza di proiezione anfibia) dovranno occuparsi della protezione delle linee di comunicazione marittime e delle operazioni difensive a medio e lungo raggio.

Asia pivot
La scommessa del Nids è quella di ottenere che questa nuova dottrina venga adottata come essenziale alla sopravvivenza del paese anche grazie all’appoggio degli Stati Uniti e della loro marina che ne sono i principali sostenitori.

Infatti, il cosiddetto “Asia-pivot” di Washington non significa che ora gli Stati Uniti guardino all’Asia come l’unico e più importante asse della loro politica estera. In realtà, vogliono semplicemente rilanciare la solida alleanza Usa-Giappone, dando a Tokyo un ruolo maggiore e molto più autonomo.

In un periodo di pesanti tagli al bilancio della difesa, con un’economia/Pil stagnante, il Giappone sta lavorando per cambiare pelle nel modo più camaleontico possibile. Far credere, cioè, che un bilancio e una situazione economica tutt’altro che florida non permetteranno mai al Giappone di dotarsi di nuove navi e armi per contrastare i pericoli che vengono dai mari circostanti (pirateria, terrorismo e dispute territoriali).

In aggiunta, il Giappone cercherà di mettere in sicurezza le rotte del Sud-Est asiatico che garantiscono il 60% del suo approvvigionamento alimentare, tutelandosi preventivamente dai nemici storici come Corea e Cina.

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Oreste Foppiani è professore associato di Storia e Politica internazionali presso la Webster University e Visiting Research Fellow presso il JMSDF Staff College e l’Aoyama Gakuin University (foppiani@webster.ch).

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