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La revisione del programma nucleare di Tehran non sembra più un obiettivo irraggiungibile. Dopo le aperture iraniane e la fiducia statunitense, i negoziatori si ritrovano oggi e domani a Ginevra per tentare di sbloccare le trattative dopo sei mesi di stallo e ascoltare le proposte del regime degli ayatollah.

L’OTTIMISMO DI KERRY
Malgrado gli Usa nutrano forti perplessità sulla volontà della Repubblica Islamica di interrompere davvero i propri progetti atomici, la diplomazia gioca la carta dell’ottimismo. “La finestra si sta aprendo sempre di più“, ha dichiarato da Londra il Segretario di Stato americano John Kerry, riassumendo lo stato d’animo generale, maturato dopo la visita all’Onu di New York del nuovo capo di Stato iraniano, Hassan Rouhani.

L’INCONTRO DI IERI
Parole confidenti, quelle di Kerry, dettate dal fatto che, seppur informalmente, l’incontro di Ginevra fra Iran e le potenze del 5+1 è già cominciato: ieri sera vi è stato un colloquio fra il ministro degli Esteri e capo-delegazione iraniano Mohammad Javad Zarif e la coordinatrice delle potenze mondiali, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Catherine Ashton per discutere delle proposte preannunciate da Teheran. L’incontro fra Iran ed il gruppo composto da Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia più Germania, il primo sotto gli auspici di Rouhani, considerato un punto di equilibrio tra la società iraniana e gli intransigenti ayatollah e pasdaran, punta a rilanciare il negoziato per assicurare che il programma atomico di Teheran non nasconda finalità militari.

ECONOMIA AL COLLASSO
Ma a far presagire un esito positivo dei negoziati c’è anche il fatto che per l’Iran sia diventato ormai ineludibile ottenere un allentamento delle sanzioni internazionali che ne stanno strozzando l’economia. Nonostante il regime degli ayatollah abbia da tempo la capacità potenziale di costruire un’arma atomica (e non l’abbia ancora fatto per fini strategici), Rouhani – analizza su Al-Monitor Kenneth Pollack, senior fellow di Brookings Institution – ha capito che non c’è più tempo per le trappole diplomatiche e non rimane che trattare, magari negoziando un vero uso del nucleare a scopi esclusivamente civili.

VIA LE SANZIONI
Senza le sanzioni, la situazione iraniana potrebbe cambiare radicalmente. Il settore automobilistico, che è servito da propulsore per altri settori industriali come quello spaziale e quello nucleare, era quello su cui Teheran scommetteva per la diversificazione della sua economia, che dipende all’80% dall’esportazione di petrolio. Per cercare di rilanciare il settore, la Repubbica Islamica sta corteggiando Paesi “amici”, come la Russia. Sabato scorso, il gruppo automobilistico iraniano Khodro ha annunciato un piano per l’export di auto verso Mosca a un ritmo di 10mila all’anno. Un piano che, tuttavia, è ancora tutto da definire.

PROMESSE DA MANTENERE
Per ottenere quanto desiderato, però, l’Iran dovrà agire in tempi brevi. Il livello avanzato raggiunto dal programma nucleare di Tehran – spiega il New York Times – fa sì che le promesse di limitare la produzione di uranio arricchito al venti per cento – una delle proposte sul tavolo – possano essere insufficienti a garantire all’Occidente che l’obiettivo della Repubblica Islamica non sia quello di produrre armi atomiche. Con migliaia di centrifughe avanzate in azione e gli ingegneri iraniani che lavorano in impianti per la produzione di plutonio, che può essere usato nelle armi, il programma nucleare iraniano rappresenta una sfida per gli stessi negoziatori di Tehran impegnati a limitarne le potenzialità. Entrambe le parti, quindi, si avviano a negoziare con punti di forza e di debolezza intrinsechi. Da un lato, appunto, un Iran che a fatica potrebbe fare passi indietro in campo nucleare, scrive il quotidiano della Grande Mela. Dall’altro l’Occidente che ha messo in ginocchio l’economia iraniana con le sanzioni.

UN PIANO AVANZATO
La situazione odierna, in Iran, – prosegue il NYT – è molto diversa da quando, nel 2003, raggiunse il suo unico accordo con l’Occidente in campo nucleare. Allora c’erano una manciata di centrifughe nella Repubblica islamica, contro le almeno 19mila di oggi, mille delle quali sono altamente avanzate. Nell’arco di qualche mese Tehran potrebbe costruire armi atomiche, sostengono gli esperti, trasformando l’uranio arricchito al 5 per cento, sufficiente a fabbricare ordigni nucleari usando uranio a basso livello di arricchimento e con un ingente numero di centrifughe. Inoltre Tehran sta completando un reattore per la produzione di plutonio che può essere usato nella costruzione di armi nucleari. Gli Stati Uniti e i suoi alleati, insomma, stanno ancora aspettando di vedere se l’Iran farà passi concreti per limitare la portata del suo programma nucleare, limitando la sua sovranità e consentendo controlli più invasivi.

UN LUPO TRAVESTITO DA AGNELLO
Aspetti che scoraggiano alcuni osservatori, che considerano invece lontano un accordo con Tehran. Come Moty Cristal, negoziatore laureato in legge alla Harvard Kennedy School, che dalle colonne di Haaretz, di cui è editorialista, rilancia il punto di vista israeliano sulla vicenda, espresso nelle scorse settimane dal premier di Tel Aviv Benjamin Netanyahu, che nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu aveva definito Rouhani “un lupo vestito da agnello”. Secondo Cristal, c’è una differenza culturale profonda tra Occidente e Iran, “maestro del negoziato”, retaggio di una cultura persiana “del bazar”. Obama e le altre potenze “dovranno chiedere concretezza e non parole”, aggiunge il commentatore. Ne saranno capaci?”

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