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La morte, le polemiche sui funerali e la sepoltura di Erich Priebke hanno riaperto la ferita nella comunità ebraica della Capitale a pochi giorni da quello che è passato alla storia come il sabato nero di Roma, uno degli atti più gravi dell’Italia fascista. Sono passati settant’anni da quel 16 ottobre del 1943 che vide 1259 ebrei rastrellati e 1023 deportati, di cui solo 16 fecero ritorno a casa.

Una giornata per ricordare

Il blitz dei tedeschi al ghetto di Roma fu l’ultimo micidiale atto di un regime ormai deposto. Ma “non ricordiamo il 70° anniversario solo per piangere i morti”, scrive Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica a Roma, nell’ultimo numero della rivista Formiche (‘Memoria e Storia. La forza degli ebrei’ in ‘1943 L’autunno della nostra vergogna’) che ha dedicato un capitolo apposito alla vicenda storica.

“Quelli, purtroppo, sono un dolore indelebile stampato nell’animo – continua Pacifici – Ricordiamo per essere migliori. Per arginare ogni tentativo di risorgere di gruppi fascisti o nazisti, in Italia come in Europa”.

Il presidente della Comunità ebraica nel suo articolo per Formiche ripercorre le storia e le tradizioni del popolo ebraico fino alla giornata più buia che si possa ricordare e che da quest’anno Roma Capitale celebra al pari del 21 aprile, Natale di Roma.

“Ogni nostro sforzo per la memoria può e deve essere accompagnato da un impegno vigile affinché i “nipoti di Hitler” trovino la strada sbarrata da leggi che impediscano l’uso delle regole della democrazia per conquistare i nostri parlamenti. Dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi”, conclude Pacifici.

L’origine di un rapporto pacifico tra Italia e Israele

“Tanto vergognosa la pagina del rastrellamento del ghetto di Roma e tanto gravi le colpe preesistenti del regime fascista da chiedersi come sia stato possibile per l’Italia ed Israele sviluppare  e mantenere relazioni positive fin dall’inizio”, scrive nello stesso numero della rivista Franco Frattini, Presidente della società italiana per l’organizzazione internazionale, già ministro degli Esteri e vicepresidente della Commissione europea, nella stessa sezione della rivista Formiche (‘Oltre l’orrore’ in ‘1943 L’autunno della nostra vergogna’).

Per Frattini alla base di tali rapporti c’è qualcosa di molto profondo che vede protagonisti da una parte la Chiesa e dell’altra la gente comune: “Se oltretevere la diplomazia prevale sull’azione, tra la popolazione avviene il contrario: la generosa reazione della gente comune è di pura fisicità. Per uno che fa una soffiata, ce ne sono dieci che si mettono di traverso sulla porta per rallentare i soldati tedeschi e dare tempo agli ebrei di mettersi in salvo”.

E in coincidenza con il rastrellamento tedesco nel ghetto ebraico una mano giungeva anche dalla Democrazia Cristiana al suo primo anno di vita: “I democristiani si attivarono per cercare di evitare la cattura degli ebrei nascondendone in cantine cittadine o aiutandone a dirigersi verso Ponte Chiasso per consentirne il riparo in Svizzera”, racconta lo storico Giovanni Di Capua nel terzo intervento dello speciale dedicato da Formiche all’autunno del 1943.

“È in questi elementi – aggiunge Frattini – che si rivela quanto saldo e quanto sincero fosse il sentimento di rispetto e fratellanza che nutrito dagli italiani nei confronti del popolo ebraico  e quanto nessuna forza occupante al mondo fosse in grado di spegnere quella fiammella di umanità”.

Priebke, il 16 ottobre del 1943 e la vergogna indelebile

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