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Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Andrea Ferretti uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Già da parecchi anni la medicina preventiva ha intensificato lo studio dei cosiddetti fattori di rischio in quanto questi, agendo congiuntamente, sono in grado di incrementare significativamente la probabilità di insorgenza di una determinata patologia. Ad esempio, grande attenzione è stata dedicata, nella prevenzione delle malattie cardiache, agli effetti della sindrome metabolica che raggruppa un insieme di fattori di rischio tra i quali l’eccessiva espansione del tessuto adiposo, l’elevato colesterolo e l’alta pressione arteriosa.

LE LINEE GUIDA
A ben vedere, la “valutazione approfondita” appena avviata dalla BCE sulle principali banche europee si muove proprio secondo le linee guida dettate dalla medicina preventiva in quanto prevede le seguenti fasi: 1) individuazione dei fattori di rischio 2) analisi del grado di correlazione esistente tra i fattori di rischio individuati 3) attivazione di misure di contrasto per la riduzione della pericolosità congiunta di dette variabili. Il problema, dunque, non sta tanto nella presenza di un singolo fattore di rischio nel “corpo” di una o più banche, ma nella pericolosità sistemica derivante dalla presenza concomitante di più fattori e dal grado di correlazione esistente tra gli stessi.

LA “SINDROME” TEDESCA
La conseguenza diretta di quanto detto è che il check up della BCE potrebbe proprio diagnosticare la presenza di una sorta di “sindrome metabolica bancaria” a carico del sistema tedesco. Infatti, un primo fattore di rischio rilevabile è costituito dalla massiccia presenza tra gli asset delle banche tedesche sia di derivati speculativi, sia di titoli di difficile smobilizzo (detti attività di Livello 3) che, non essendo trattati in mercati liquidi, vengono talvolta contabilizzati in maniera piuttosto disinvolta. Per rendersi conto della pericolosità del problema basterà ricordare che al giugno 2013 (dati R&S Mediobanca), oltre il 33% dell’attivo di Deutsche Bank (DB) risultava costituito da derivati e che nell’aprile di quest’anno la Bundesbank aveva avviato, nei confronti della stessa DB, una indagine conoscitiva riguardante il presunto occultamento di ingenti perdite proprio su tali poste. Parallelamente, le prime banche tedesche evidenziavano attività “di Livello 3” pari al 35% del loro patrimonio di vigilanza (DB al 50%) contro il 12% delle principali banche italiane.

TROPPO INDEBITAMENTO
Il secondo fattore di rischio è rappresentato, invece, dall’eccessivo ricorso da parte degli istituti tedeschi all’indebitamento a discapito dei mezzi patrimoniali (leva finanziaria): a giugno 2013, solamente il 2,3 % circa delle attività tangibili di Deutsche Bank erano fronteggiate da patrimonio, contro il 5,6 % circa di UniCredit ed Intesa. Inoltre, come detto, nella diagnosi della “sindrome metabolica bancaria” è necessario prestare grande attenzione al grado di correlazione esistente tra i diversi fattori di rischio: in quest’ottica la correlazione esistente nel sistema bancario teutonico tra il primo fattore di rischio (derivati e titoli illiquidi) ed il secondo (eccesso di indebitamento) appare decisamente preoccupante. Infatti, un attivo infestato da poste evanescenti quali quelle sin qui evidenziate rende comunque una banca più vulnerabile, ma si trasforma in un mix esplosivo se fronteggiato da mezzi patrimoniali insufficienti o inadeguati. Il terzo fattore di rischio è costituito dal risk appetite, ossia da quella irresistibile attrazione che le banche tedesche hanno sempre mostrato nei confronti di impieghi ad elevata redditività ed alto rischio.

L’ESPOSIZIONE DEGLI ISTITUTI
Basterà ricordare l’imbarazzante esposizione delle principali banche tedesche sull’Irlanda, ma anche gli enormi impieghi delle Landesbanken sull’immobiliare commerciale inglese e spagnolo, sulla disastrata cantieristica nord europea, nonché sui titoli subprime USA. Le conseguenze di ciò si sono viste nel pieno della crisi quando le principali sette Landesbanken hanno registrato una impennata esponenziale delle perdite su crediti abbinate ad un ammontare di crediti dubbi ben al di sopra della media europea. Non può sfuggire, a questo proposito, l’elevato grado di correlazione, e quindi di pericolosità, esistente anche tra quest’ ultimo fattore di rischio e gli altri prima evidenziati.

LE RICHIESTE ALLA BCE
Nel Medioevo, le vittime dell’inquisizione venivano spogliate per cercare un bubbone detto il “capezzolo del diavolo”, segno inconfutabile di una alleanza con il demone ed eccellente lasciapassare per il rogo. Oggi, alla nuova vigilanza bancaria ed alla BCE non si chiede di cercare il segno del demonio tra le pieghe dei bilanci delle banche tedesche, ma di evitare che la presenza di numerosi fattori di rischio tra loro altamente correlati trasformi una sindrome metabolica, probabilmente curabile, in una grave patologia sistemica dagli esiti decisamente incerti.

Perché le vulnerabili banche tedesche rischiano di contagiare l'Europa

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Andrea Ferretti uscito sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi Già da parecchi anni la medicina preventiva ha intensificato lo studio dei cosiddetti fattori di rischio in quanto questi, agendo congiuntamente, sono in grado di incrementare significativamente la probabilità di insorgenza di una determinata patologia. Ad esempio, grande attenzione è stata…

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