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No, non sarà tre volte Natale, e i preti non potranno sposarsi nemmeno a una certa età. Ma che si sia fan dell’immortale Lucio Dalla o cultori del dialogo leopardiano con il venditore di almanacchi, i primi giorni di gennaio sono destinati ai buoni proponimenti, alle speranze, agli auspici. Io provo a buttar giù i miei, sperando che in qualche modo appartengano non solo al mio destino privato, ma a quello della mia generazione e della mia Patria.

Li faccio, come il piccolo pianista dei Peanuts che festeggiava il compleanno di Beethoven, nel giorno di nascita di Gianfranco Fini, cioè di uno che, ben prima che il renzismo e la rottamazione divenissero (tristi) mode, è divenuto segretario nazionale di un partito qualche giorno prima di compiere trentasei anni.

Darò per scontata la citazione gandhiana che ci esorta ad essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo: malgrado l’insulsa grammatica della contemporaneità, è evidente che qualsiasi auspicio che non comporti un’assunzione di responsabilità è vana invettiva o giaculatoria.

La prima speranza è quindi che parta anche da noi trentenni uno sforzo di riconciliazione con chi ci ha preceduto. Patria e padre hanno la stessa radice: la “morte della Patria”, nel 1943, ha pesato sulla storia d’Italia ben più a lungo di quanto non siano durate le sue conseguenze materiali. Non ripetiamola, non ripetiamoci.

È vero, ci sono state dissenatezze indicibili, che si sono risolte in uno scippo di futuro per le nuove generazioni. Errori spesso conclamati dal senno di poi, ma obiettivamente difficili da prevedere, di sicuro non riducibili ad una categoria, istituzione o generazione.

Non prenderemo, nella società, nell’economia, nella politica lo spazio che ci spetta se proveremo ad espugnarlo in modo rancoroso e vittimistico. Dobbiamo far pace coi padri per non correre il rischio di tenerci di loro solo i danni e i disastri, buttando a mare in sindrome da cupio dissolvi il molto di buono che hanno costruito.

Prendiamo l’Europa: nessuna persona di buonsenso ne tacerebbe i difetti e le criticità; ma chi può nasconderne gli straordinari ed inediti vantaggi che i cittadini europei –specie quelli più giovani- ne hanno tratto? Quanto vale la possibilità di vivere la propria giovinezza senza l’incubo delle guerre e la zavorra delle frontiere? Chiedetelo alle famiglie di Marcinelle, agli istriani, alla fiaccola del Vittoriano.

Lavoriamo perché ai giovani venga evitata la beffa di venire stoltamente additati come la miracolistica soluzione dopo essere stati per anni “il problema”. Ci sia solo consentito di svolgere il nostro importante ruolo, di fare la nostra decisiva parte per ridare fiato ed entusiasmo ad un Paese smarrito. Non chiediamo altro per noi, tenteremo e sicuramente sbaglieremo, ma non provate a fermarci

Quanto agli svariati dirigenti in cerca d’autore che scorrazzano nei dintorni e all’interno di ogni area politica, penso si addica loro l’appello di Giuseppe Ungaretti: “Cessate di uccidere i morti. Non gridate più, non gridate”…

Buon 2014, alla mia generazione e a tutti gli italiani, questo è il nostro anno, quello in cui riusciremo ad alzare la testa per uscire dal buio della crisi, non solo economica, ma dei valori e delle Istituzioni. Per farlo dobbiamo solo crederci.

L'anno che verrà, l'Italia che sarà.

No, non sarà tre volte Natale, e i preti non potranno sposarsi nemmeno a una certa età. Ma che si sia fan dell’immortale Lucio Dalla o cultori del dialogo leopardiano con il venditore di almanacchi, i primi giorni di gennaio sono destinati ai buoni proponimenti, alle speranze, agli auspici. Io provo a buttar giù i miei, sperando che in qualche…

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