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Non è un momento semplice per la diplomazia americana. Dal giorno in cui il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, ha “bucato” la rete di protezione del Dipartimento di Stato diffondendo i cablo più famosi della storia, sembra che ci sia una falla preoccupante nei sistemi di sicurezza americani. Il nuovo scandalo Datagate, con le rivelazioni di Snowden e i reportage della stampa internazionale, sta riportando la tensione internazionale a livelli di guardia.

Secondo le ultime rivelazioni, l’agenzia americana per il controllo delle comunicazioni, la NSA, avrebbe intercettato i sistemi di molti Paesi amici e alleati. Ne hanno parlato a Roma ieri anche il premier Enrico Letta e il Segretario di Stato americano John Kerry, la cui visita segue di pochi giorni il viaggio del Presidente del consiglio italiano alla Casa Bianca, il secondo in pochi mesi.

I rapporti tra Italia e Stati Uniti continuano ad essere solidi, improntati alla comunanza di valori e di obiettivi. Washington sa che la stabilità italiana è un elemento imprescindibile per mettere in sicurezza l’economia europea e quella internazionale. A Roma si guarda con attenzione da Oltreoceano per il ruolo che l’Italia può avere sui principali dossier di crisi nel Mediterraneo, come la Libia o la Siria. Nel primo caso, l’America riconosce al nostro Paese un ruolo di leadership e ne promuove un impegno sempre più attivo per la stabilizzazione di un Paese che non è cruciale solo per noi ma per contenere il focolaio di instabilità in tutto il Nord Africa, ora che anche l’Egitto è ripiombato nel caos.

Su questi temi esiste un confronto costante e la volontà di procedere assieme. Ma non ci sono solo sorrisi e strette di mano, come sempre capita in ogni rapporto di amicizia. Difesa, sicurezza e tecnologie ricorrono in un confronto a volte teso. C’è da chiarire infatti ancora il destino del radar MUOS a Niscemi, in Sicilia, il raddoppio della base Ederle a Vicenza, il ridispiegamento delle truppe americane nel Mediterraneo, che ha reso ad esempio la base di Sigonella un centro nevralgico per tutte le operazioni militari Usa. E ancora il tema dei rapporti industriali per il programma F-35, cui gli Usa tengono non solo per le ricadute sulla cooperazione industriale ma anche per il rafforzamento del legame transatlantico in materia di difesa.

Insomma, è comprensibile e normale che in un momento in cui l’intero paradigma della politica estera è in fase di ridefinizione a livello globale, anche tra alleati ci possano essere delle discussioni.

Quello che più importa è non perdere mai di vista la cornice generale. Ovvero il fatto che Italia e Stati Uniti sono naturalmente e positivamente schierati dalla stessa parte, condividono gli stessi obiettivi, vedono spesso il mondo con le stesse lenti. Non è un caso che il premier italiano abbia ottenuto un assenso non scontato alla partecipazione americana all’Expo del 2015, che Obama citi a più riprese il Presidente Napolitano come un riferimento in Europa e nel mondo, e che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato abbiano lanciato appena qualche mese fa un programma ambizioso come il TTIP, ovvero un’area di libero scambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. A beneficiarne sarebbero soprattutto gli europei e gli italiani.

Anche se Roma ha perso la rendita di posizione geopolitica della Guerra Fredda, oggi le principali aree di crisi e i fenomeni più preoccupanti in materia di sicurezza si incrociano nel nostro cortile di casa del Mediterraneo. Rimaniamo quindi un alleato essenziale per l’America e il nostro impegno nelle aree di crisi è il contributo più prezioso che possiamo dare. Di questi elementi c’è totale consapevolezza sia qui che a Washington. Ed è questo ciò che più conta. Tutto il resto rientra nella normale dinamica di un mondo che è ancora alla ricerca di una propria forma e di un nuovo modo di interagire.

Evitiamo isterie sui rapporti fra Stati Uniti e Italia

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