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Il Signor Mario Rossi è un sessantottenne pensionato del Ministero ora chiamato “dello sviluppo economico”. Ha terminato la propria carriera andando in pensione a 65 anni, con 40 anni di anzianità di servizio, con la qualifica di “vice dirigente”, l’antico grado nono della pubblica amministrazione. La Signora Anna Rossi, sua moglie, è sempre stata una “casalinga” ad occuparsi dei figli (tre) e delle faccende domestiche. Al momento del pensionamento, il Signor Rossi si è considerato un uomo fortunato.

Il mutuo dell’appartamento di famiglia ormai estinto, la liquidazione servita per aiutare i figli a comprare casa, estinguendo, prima del tempo, i loro mutui. Due sono statali ancora molto lontani dalla vice dirigenza, ma prima o poi ci arriveranno ed andranno anche oltre. Il terzo, con papà funzionario “agli incentivi alle imprese” dai tempi della Legge Prodi, è entrato in una grande azienda un tempo a partecipazione statale con le prospettive di impiego di lungo periodo e carriera brillante.

Tornando a casa dal banco dei pegni, dove per fare fronte ad esigenze di liquidità ha portato un po’ di ori (di valore ma di pessimo gusto!) ereditati dalla zia Caterina buon’anima, rifletteva sulla sua esistenza di pensionato negli ultimi anni.
Quando lasciò il servizio, 1800 euro al mese sembravano adeguati dato con una casa in proprietà, spese condominiali contenute (non c’e portiere nella palazzina; gli autobus sono sotto casa), bollette non eccessive e figli “sistemati”.

Sono diventati 1750 a ragione dell’aumento delle imposte degli enti locali. Nonostante l’unico quotidiano che acquista proclami che Mario Draghi ha bloccato l’inflazione, sua moglie Anna si lamenta che al mercato rionale tutto costa di più. Il vero guaio è che il figlio collocato presso l’ex mega impresa un tempo di Stato è stato dichiarato in esubero ora che l’azienda è privatizzata. Per pagare il mutuo, il giovane (35 anni) ha locato a terzi la propria abitazione e con moglie (a lungo “precaria” nella scuola, ma ora sotto maxi concorso) e figlio, vive ora con lui e con la propria mamma, la Signora Anna, nella casa dove è nato e vissuto “da ragazzo”.

Sono cose che capitano! Dice a se stesso il Signor Rossi, aggiungendo, parlottando tra sé e sé nel tram, “verranno tempi migliori”. Il suo cuore ha sempre battuto a sinistra del centro. Ha sempre contato sulle generazioni future. È ben lieto che un giovane presidente del Consiglio ed un giovane vice presidente del Consiglio cerchino di rimettere in sesto questa malconcia Italia.

Non capisce però perché lo abbiano classificato “pensionato d’oro” e bloccato, per il terzo anno, l’assegno previdenziale netto che diminuisce in termini sia reali sia nominali, mentre tutto il resto (incluse tasse e imposte) aumenta.

“Ma io me la cavo!”, sussurra a se stesso. Ha, infatti, un programma ben escogitato e già avanzato di come arrotondare l’assegno con una collaborazione con il suo compaesano, Joe Bianchi, emigrato poco più che bambino negli Usa dove ha fatto fortuna con fabbriche di molle. Ora Joe pensa di creare un fabbrichino nel natio centro di San Giovanni Campano, provincia di Frosinone ma ai confini con la Campania. Con la sua passata esperienza al Ministero, il Signor Rossi diventerebbe il suo punto di riferimento per sbrigare pratiche, curare i rapporti con la pubblica amministrazione e via discorrendo. Un compenso in parte fisso e sicuro ed in parte in base al fatturato della nuova impresa.

Arriva a casa senza gli “ori” della zia Caterina ma fiducioso nelle opportunità che gli schiude Joe. Varcata la soglia, trova un messaggio proprio di Joe: il fabbrichino verrà aperto altrove, non in Italia, (ma in Francia) perché non si può operare nell’incertezza delle regole, tipica di dove ogni anno si cambiano quelle sulle pensioni.

Su Joe, il road show del presidente del Consiglio non ha fatto alcuno effetto.

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