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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Come sempre succede in Italia dopo una grande tragedia come l’ultima sulla costa di Lampedusa, al sincero dolore per le vittime si associano prese di posizione pubbliche contrastanti. In questi tristi frammenti, nemmeno l’Europa rinuncia a rimarcare punti che rivelano l’esistenza di un “pregiudizio antitaliano”. Vista la partecipazione emotiva del paese, è tuttavia utile mettere a fuoco alcuni punti chiave.

Corridoi umanitari
Secondo una vecchia idea, si vorrebbe istituire una zona protetta che dalle coste africane consenta ai richiedenti asilo di giungere via mare a Lampedusa, venendo assistiti nelle acque da un presidio navale.

Lungo un simile corridoio, i migranti potrebbero accedere liberamente alla “porta d’Europa” per poi ricevere protezione in Italia o in un altro paese che accetti di accoglierli. Questa idea non considera però né la questione della valutazione preliminare ed imparziale dello status di rifugiato alla partenza, né il problema del trasporto per il quale verrebbe di pensare a vettori aerei e marittimi sotto l’egida dell’Unione europea (Ue).

Le rotte dei migranti mediterranei (Fonte: Frontex).

Fini-Bossi
Vi è poi l’idea di rivedere la legge Fini-Bossi per modificare la parte che criminalizza il favoreggiamento dell’immigrazione, evitando quindi di impedire i soccorsi ai migranti.

In realtà, secondo questa legge le attività di soccorso ed assistenza umanitaria prestate in Italia a favore di stranieri in condizioni di bisogno non costituiscono reato.

Se proprio si vogliono evitare aberranti incriminazioni di pescatori che assistono in mare migranti in difficoltà, si potrebbe effettivamente adattare la norma, prevista dal codice della navigazione, relativa ai doveri del soccorso alla vita umana in mare.

Altro problema che esula dalla presente analisi è invece quello del reato di clandestinità la cui valutazione va condotta tenendo conto del bene giuridico della sicurezza pubblica che attraverso esso è attualmente protetto.

Un altro punto debole della Fini-Bossi sta nell’ammettere l’esistenza della zona contigua – una fascia di 12 miglia oltre il limite delle 12 miglia del mare territoriale in cui è possibile prevenire e reprimere l’immigrazione illegale – senza tuttavia regolamentarla.

Il risultato è che nel nostro ordinamento la zona contigua vive una vita effimera nonostante da più parti ne venga sottolineata la necessità secondo la prassi mediterranea.

Sarebbe forse più semplice emanare un decreto applicativo della Fini-Bossi che, alla luce dei principi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, regolamenti i poteri esercitabili da forze di polizia e marina militare nella zona contigua e disciplini anche il fermo delle navi madre in alto mare sulla base della dottrina della “presenza costruttiva”.

Leggi l’articolo completo su Affari Internazionali

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare in congedo, esperto di diritto internazionale marittimo. 

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