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Si sta aprendo una settimana difficilissima sotto il profilo interno (la decadenza o meno di Berlusconi dalla carica di Senatore) ed internazionale (la crisi siriana). Pochi sembrano accorgersi che a questi gravissimi temi e problemi si sta aggiungendo quello (di cui non c’era affatto esigenza) di un vero e proprio ingorgo di politica legislativa. Da giovedì scorso circola nei ministeri una bozza di ‘Decreto del Fare’ n. 2, predisposta in gran misura dal Ministero dello sviluppo economico mentre non si ha ancora un quadro preciso degli adempimenti per dare attuazione alle misure del ‘Salva Italia’ e del ‘Cresci Italia’ e come verrà coperto il mancato gettito della seconda rata dell’IMU e del non aumento dell’IVA.

Alcuni giorni fa, il Sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, è stato chiaro: nell’arco del prossimo mese – mese e mezzo si devono trovare quattro miliardi di copertura per le perdite di gettito relative alla seconda rata dell’IMU (o ex-IMU) 2013, per il mancato aumento dell’IVA e per le spese aggiuntive relative alla Cassa integrazione ed al rifinanziamento delle missioni all’estero. Non pare che il consiglio (pieno di sano buon senso) sia stato accolto.

Il punto centrale è la definizione delle priorità strategiche non le singole misure. La stagione delle misure puntiformi (ove sia mai stata efficace) è terminata: occorre elaborare, ed attuare, una strategia organica di riassetto del bilancio nel cui quadro le singole azioni abbiano razionalità, coerenza e un ordine di priorità. Qualcosa di analogo in materia di finanza pubblica, al documento congiunto firmato il 2 settembre da Confindustria, da un lato, e Cgil-Cisl-Uil, dall’altro, in tema di politica industriale.

I numeri sono eloquenti tanto più che da Bruxelles, già prima che inizino le riunioni settembrine dell’Eurogruppo e dell’Ecofin, ci viene detto che non ci possiamo aspettare deroghe al Fiscal Compact (ossia ad un tetto non superiore al 3% del Pil in materia di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni). Quattro miliardi di euro in un bilancio delle pubbliche amministrazioni di più di 800 miliardi possono sembrare un’inezia e dare l’impressione che basti spostare poche voci contabili. Invece, sull’arco di un anno, racimolare quattro miliardi in un mese equivale a circa 50 miliardi. Quella che pare un’operazione per ‘tappare buchi’ deve, quindi, essere l’occasione per un ripensamento delle priorità, pur se nel brevissimo periodo si dovrà ricorrere a tamponi come la riduzione del fondo per l’occupazione, l’utilizzazione di risorse della Cassa conguaglio per il settore elettrico, la contrazione delle assunzioni per la sicurezza e per la lotta all’evasione ed altri provvedimenti specifici di cui si discute in queste ore.

Nel definire strategia e priorità occorre tenere conto di alcune considerazioni. In primo luogo, in un Paese in recessione da circa otto anni, ulteriori aumenti della pressione tributaria-contributiva non possono che aggravare le prospettive per l’economia reale; anzi, si dovrebbe pensare a ridurre il cuneo che grava sul costo del lavoro e mortifica competitività ed occupazione. In secondo luogo, c’è asimmetria temporale tra gli effetti degli aumenti delle entrate e delle riduzioni della spesa: i primi si avvertono subito, mentre le seconde operano nel medio periodo tranne che non si tratti di rinvii negli accrediti del Tesoro agli enti di spesa e dei pagamenti di questi ultimi ai fornitori (in tal modo le pubbliche amministrazioni hanno già accumulato debiti commerciali pari all’8% del Pil e mandato a gambe all’arie numerose imprese).

Nel breve periodo, se si vuole operare (come auspicabile) riducendo la spesa, non si può pensare che a tagli lineari e all’accantonamento di provvedimenti (quali le misure speciali per le fondazioni liriche) a favore di soggetti pubblico-privati la cui produttività è mediamente pari alla metà della media europea. Non tutti i tagli lineari, però, hanno gli stessi effetti di breve, medio e lungo periodo. Salvaguardando (come ha fatto il Governo) la scuola, la strada possibile è quella di una migliore efficienza (ora resa possibile grazie al progresso tecnologico) negli acquisti di beni e servizi (i ‘consumi intermedi’ delle pubbliche amministrazioni), valutando la possibile estensione delle attività della Consip agli enti locali (come originariamente concepito). Si dovrebbe rimettere mano a quei miglioramenti di efficienza più volte tentati come la chiusura dei piccoli tribunali e la costituzione di consorzi tra piccole università e la miriade di piccoli enti pubblici del ‘capitalismo municipale’. Si dovrebbe, infine, dare un segnale forte in materia di retribuzioni ed altri privilegi dell’alta dirigenza: ad esempio, il parco di ‘auto blu’ dovrebbe essere ridotto non del 20% ma dell’80% e nei confronti delle corporazioni (pare che in passato ci sia stata una sommossa da parte degli autisti) che non vogliono cambiamenti di mansioni, è doverosa una rigorosa applicazione della normativa. Soprattutto, occorre rilanciare la spending review con tempi certi e responsabilità anche esse certe. Deve essere posta sotto il controllo del Ragioniere Generale dello Stato che, grazie ad un concorso effettuato circa sette anni fa, dispone di un gruppo di dirigenti specialisti della materia e di caratura internazionale.

Attenzione, pericolo di ingorgo legislativo

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