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Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su La Gazzetta di Parma.

Secondo Enrico Letta il Ventennio è finito, secondo Angelino Alfano ancora no. Ma se dalla storiografia sul ruolo di Silvio Berlusconi restiamo alla cronaca dei fatti, non è difficile vedere come stiano le cose. Per la prima volta dal 1994, nel centro-destra s’è aperto il cantiere dei lavori per preparare una nuova leadership nel Pdl e ambire, in solitaria, a palazzo Chigi.

Intendiamoci, sono lavori in corso complicati, perché comunque all’ombra del Cavaliere, che gode tuttora di consenso fra i cittadini, e che non ha alcuna intenzione di mollare il partito di cui è papà-padrone. Sono lavori, inoltre, destinati a durare a lungo, dato che non andremo presto alle urne. E l’attesa brucia anche i migliori propositi, come nel centro-sinistra deve ben temere Matteo Renzi, oggi cavallo vincente, domani non si sa.

Ma l’obiettivo chiaro dei protagonisti del dopo-Berlusconi è proprio quello di trovare l’uomo o la donna più adatti per sfidare il tandem Letta-Renzi, che parte favorito per il voto che verrà, quando verrà.

E così nel cantiere del Pdl già si muovono quattro candidati che hanno dalla loro, almeno e intanto, l’età. Non è un dettaglio, essendo l’anagrafe la prima “arma formidabile” del giovane Renzi e della sua voglia di ricambio generazionale che lo ha fatto entrare in sintonia con gli italiani esausti nel vedere sempre le solite facce e nessun risultato.

Dunque, il delfino Alfano ormai nuota di suo. Ma il modo con cui s’è staccato dalla casa del padre, dichiarandosi “diversamente berlusconiano”, ha prodotto per reazione il neo-candidato Raffaele Fitto a nome dei berlusconiani cosiddetti lealisti. Nell’area di centro-destra ormai fanno sul serio sia il “diversamente leghista” Flavio Tosi con la sua creatura “Ricostruiamo il Paese” (una novità: finalmente la Lega riscopre l’Italia), sia la giovine Giorgia Meloni con “Fratelli d’Italia”. La Meloni, che ha trentasei anni, cioè due in meno di Renzi, punta a riunire a sé la galassia di destra esplosa e disorientata nel dopo-Fini.

E allora Alfano, Fitto, Tosi e Meloni, ecco il poker dei candidati sul tavolo. Un poker che però, fino all’ultimo, dovrà convivere col fantasma di Marina Berlusconi, la carta a sorpresa, anche se molto annunciata, che il centro-destra orfano del Cavaliere potrebbe lanciare per sparigliare alla vigilia di giochi, congressi, primarie e altri appuntamenti di partito tutti ancora da definire.

Se a sinistra l’offerta è varia e attrattiva, e il duo Letta-Renzi si presenta come l’invincibile armata, il versante opposto ha tuttavia un paio di buone circostanze dalla sua. La prima è che storicamente l’Italia non è un Paese di sinistra. La Dc ha governato per quasi mezzo secolo senza interruzioni, arrivando sempre prima a ogni elezione nazionale. E poi è toccato, appunto, al Ventennio, con le note eccezioni dei governi-Prodi dalle traballanti maggioranze di centro-sinistra.

La seconda circostanza è che il Pdl sta governando oggi e governerà nei prossimi mesi, pur in condominio col Pd e Scelta civica. Ha perciò la possibilità di incidere sull’economia, sulla politica estera, sulla sicurezza -lo stesso Alfano è ministro dell’Interno-, su una strategia di integrazione che sappia coniugare accoglienza e legalità. Il dopo-Berlusconi perciò non sarà l’anno zero per il centro-destra, nonostante le divisioni, gli errori compiuti, l’incapacità d’avere una certa idea dell’Italia: altra caratteristica a favore del comunicatore Renzi.

Se il centro-destra saprà interpretare e innovare la tradizione di un popolo che per due terzi non è “di sinistra”, e a fronte di un Pd che a sua volta con Letta e Renzi cambierà natura e destino, allora potrà tornare ad avere la sua opportunità. Forse riprendendo un po’ dell’ampia fetta di opinione pubblica non-progressista che nel frattempo ha scelto Beppe Grillo come atto civico e civile di indignazione. Tipico di quella borghesia del lavoro lontana dalla politica e dal Palazzo, che richiede buonsenso, competenza e rettitudine ai suoi governanti. E che per questo è stata ieri attratta da Grillo e potrà esserlo domani da Renzi: purché tutto cambi in Italia.

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