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Il Cairo  è stato per poco più di una settimana la capitale a più alta intensità diplomatica. Diverse delegazioni straniere, europee e americane in modo particolare, hanno fatto capolino nella terra dei faraoni per scongiurare il rischio di una guerra civile. I segnali sembravano incoraggianti.

ElBaradei era arrivato a proporre un salvacondotto per l’ex premier Morsi ed una delegazione dei Fratelli musulmani aveva accettato di incontrare il capo dell’esercito Al Sissi. Gli sforzi sono stati vani, però. I falchi da una parte e dall’altra, hanno prevalso, sin qui. L’orologio degli scontri intanto ha ripreso a scorrere rapidamente. Il governo egiziano ha intimato di sciogliere tutti i sit-in e le manifestazioni pro-Morsi mentre esercito e Fratelli musulmani si scambiano accuse di pesanti violenze.

No alle interferenze straniere
L’idea di un rapido redde rationem sembra confermato dalla volontà di non ascoltare più le voci internazionali che chiedono un compromesso fra le parti. L’Egitto esprime il “rifiuto di qualsiasi ingerenza straniera negli affari interni del Paese”. Lo ha dichiarato il primo ministro egiziano ad interim Hazem al-Beblawi, nel corso di una conferenza stampa trasmessa dalla televisione di Stato, dopo che la presidenza egiziana ha annunciato il fallimento degli sforzi diplomatici internazionali per la fine della crisi in corso. “Non accetteremo che la rivoluzione del 30 giugno venga definita ‘golpe'”, ha poi dichiarato al-Beblawi, riferendosi ai termini usati per indicare l’intervento dell’esercito per rovesciare il presidente Mohammed Morsi.

Il premier ha quindi rivolto un monito ai Fratelli musulmani, invitandoli a “non continuare a influenzare i cittadini onesti a compiere atti che rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale”. La scorsa settimana il governo aveva dato l’incarico al ministero degli Interni di usare “tutti i mezzi a sua disposizione” per sgomberare i due principali sit-in pro Morsi al Cairo, definendoli una “minaccia alla sicurezza nazionale”.

La speranza di un dialogo “interno”
Falliti tutti i tentativi di conciliazione avviati dai mediatori internazionali, come sentenziato oggi dallo stesso presidente ad interim Adli Mansour, passa probabilmente per l’Università di al-Azhar al Cairo l’ultima possibilità per l’Egitto di evitare la guerra civile: secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa ufficiale “Mena”, il più importante centro d’insegnamento religioso dell’Islam sunnita intende infatti ospitare la settimana prossima “un’importante riunione” sulla sempre più grave crisi politico-istituzionale.

Ai colloqui saranno invitate tutte le personalità egiziane che abbiano formulato proposte su possibili via d’uscita. Avranno inizio una volta conclusa la ricorrenza di Eid al-Fitr, che tradizionalmente suggella la fine del mese sacro del Ramadan, e che quest’anno cadrà fra domani e domenica. “Ci sono alcune iniziative sulle quali si può costruire per intraprendere la riconciliazione nazionale”, hanno spiegato fonti del millenario ateneo cairota. All’incontro sarà presente anche il rettore di al-Azhar, lo sceicco Ahmed al-Tayyeb, che a suo tempo si schierò a favore del colpo di stato militare con cui il 3 luglio scorso fu deposto il presidente filo-islamista Mohamed Morsi.

Egitto, al bando la diplomazia. Rischio guerra civile con Fratelli musulmani

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